sabato 12 ottobre 2013

Alcune considerazioni sulla questione del "reato di clandestinità"


Va subito detto che non è una questione non nuova; già nel 2011 dinanzi alla Corte di giustizia dell'Unione europea è approdato il caso del signor Hassen El Dridi, alias Soufi Karim. La questione è stata già risolta dal diritto dell'Unione europea. Ciò perchè, come vedremo, la materia dei rimpatri è disciplinata dal diritto dell'Unione europea, nella fattispecie, dalla direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio n. 2008/115/CE del 16 dicembre 2008, recante norme e procedure comuni applicabili negli Stati membri al rimpatrio di cittadini di paesi terzi il cui soggiorno è irregolare (in Gazzetta UE L 348, pag. 98). Il procedimento "El Dridi" è stato possibile grazie ad una domanda di pronuncia pregiudiziale d'urgenza (PPU) ai sensi dell’art. 267 TFUE, proposta dalla Corte d’appello di Trento. Brevemente i fatti. Il sig. El Dridi è un cittadino di un paese terzo entrato illegalmente in Italia e, al tempo, privo di permesso di soggiorno. Nei suoi confronti il prefetto di Torino ha emanato un decreto di espulsione in data 8 maggio 2004. Un ordine di allontanamento dal territorio nazionale, emesso il 21 maggio 2010 dal questore di Udine, in esecuzione di detto decreto di espulsione, gli è stato notificato in pari data. Tale ordine di allontanamento era motivato dall’indisponibilità di un vettore o di altro mezzo di trasporto, dalla mancanza di documenti di identificazione del sig. El Dridi nonché dall’impossibilità di ospitarlo in un centro di permanenza temporanea per mancanza di posti nelle apposite strutture. Durante un controllo effettuato il 29 settembre 2010 è stato constatato che il sig. El Dridi non si era conformato a detto ordine di allontanamento. Pertanto, il sig. El Dridi è stato condannato dal Tribunale di Trento, all’esito di giudizio abbreviato, alla pena di un anno di reclusione per il reato di cui all’art. 14, comma 5-ter, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, "Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero" (Supplemento ordinario alla Gazz. Rep. Ita. (GURI) n. 191 del 18 agosto 1998), come modificato dalla legge 15 luglio 2009, n. 94, recante disposizioni in materia di sicurezza pubblica (Supplemento ordinario alla GURI n. 170 del 24 luglio 2009). Egli ha impugnato tale decisione dinanzi alla Corte d’appello di Trento, di qui il rinvio alla Corte di giustizia UE. La Corte d'appello richiede alla Corte i seguenti quesiti (cito testualmente): 1) «Se alla luce dei principi di leale collaborazione, all’effetto utile di conseguimento degli scopi della direttiva e di proporzionalità, adeguatezza e ragionevolezza della pena, gli artt. 15 e 16 della direttiva n. 2008/115/CE ostino: a) alla possibilità che venga sanzionata penalmente la violazione di un passaggio intermedio della procedura amministrativa di rimpatrio, prima che essa sia completata[,] con il ricorso al massimo rigore coercitivo ancora possibile amministrativamente; b) alla possibilità che venga punita con la reclusione sino a quattro anni la mera mancata cooperazione dell’interessato alla procedura di espulsione, ed in particolare l’ipotesi di inosservanza al primo ordine di allontanamento emanato dall’autorità amministrativa». Semplificando, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se la direttiva 2008/115/CE, in particolare i suoi artt. 15 e 16, debba essere interpretata nel senso che essa osta ad una normativa di uno Stato membro, come quella in discussione nel procedimento principale (decreto legislativo n. 286/1998), che preveda l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo. Ricordo che la ratio della direttiva 2008/115/CE ha come obiettivo l’attuazione di un’efficace politica in materia di allontanamento e rimpatrio basata su norme comuni affinché le persone interessate siano rimpatriate in maniera umana e nel pieno rispetto dei loro diritti fondamentali e della loro dignità. Una tale pena, infatti, segnatamente in ragione delle sue condizioni e modalità di applicazione, rischia di compromettere la realizzazione dell’obiettivo perseguito dalla direttiva, ossia l’instaurazione di una politica efficace di allontanamento e di rimpatrio dei cittadini di paesi terzi il cui soggiorno sia irregolare. La Corte gi giustizia Ue decide pertanto che la direttiva 2008/115/CE, in particolare i suoi artt. 15 e 16, deve essere interpretata nel senso che osta ad una normativa di uno Stato membro, come le norme di cui agli artt. 13 e 14 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, che prevedono l’irrogazione della pena della reclusione al cittadino di un paese terzo il cui soggiorno sia irregolare per la sola ragione che questi, in violazione di un ordine di lasciare entro un determinato termine il territorio di tale Stato, permane in detto territorio senza giustificato motivo. In virtù della prevalenza del Diritto UE sul diritto nazionale incompatibile, principio costituzionale acclarato da tempo, al giudice nazionale, incaricato di applicare, nell’ambito della propria competenza, le disposizioni del diritto dell’Unione e di assicurarne la piena efficacia, spetterà disapplicare ogni disposizione del decreto legislativo n. 286/1998 contraria al risultato della direttiva 2008/115, segnatamente l’art. 14, comma 5-ter, di tale decreto legislativo. La questione era già chiarita nel 2011. A me pare che si faccia tanto baccano per nulla!