giovedì 18 settembre 2014

Il referendum in Scozia e l'eventuale secessione nella prospettiva dell'Unione europea.



Oggi 4,3 milioni di scozzesi vanno al voto referendario per votare se restare con il Regno Unito oppure staccarsi in modo definitivo e creare uno Stato indipendente. Tecnicamente si tratta di "secessione" secondo il diritto internazionale. Le motivazioni sono molteplici e non sono oggetto di queste riflessioni. Un dato è però chiaro: le giustificazioni che spingono i secessionisti sono di natura culturale, ideologica, politica ed economica; un bel melting pot. Al di là del fatto emozionale, ciò che interessa segnalare è l'insieme delle conseguenze giuridiche che deriverebbero dalla vittoria dei secessionisti ai quali non può essere negato, va ricordato, manifestare il proprio pensiero (e voto) all'interno di una democrazia compiuta e consolidata come è quella britannica. Ricordo che la secessione non va letta soltanto in senso negativo e disastroso: ad esempio in Europa, nella divisione della Cecoslovacchia, l'indipendenza nazionale è stata gestita civilmente e senza traumi, sia sul piano interno sia su quello internazionale ed europeo. Entrambi gli Stati che ne derivarono sono membri in Europa dell'Unione europea e della Nato. Quid iuris sul versante del diritto dell'Unione europea (UE)? La Scozia  indipendente subentrerebbe sic et simpliciter nell'UE? Nell'Unione economica e monetaria (UEM) e nell'euro? Il distacco della Scozia dalla Gran Bretagna pone alcune questioni preliminari di diritto internazionale. In primo luogo la soggettività  internazionale della Scozia vale a dire il suo riconoscimento da parte della comunità internazionale. Va valutato se il nuovo Stato (organizzazione di governo in tutte le sue articolazioni) effettivamente detiene l'esercizio del potere di governo sulla comunità umana stanziata sul territorio de quo, che si definirebbe eveidentemente scozzese. Questo il primo step. Successivamente il nuovo governo (insediato e riconosciuto) dopo aver risolto le questioni "interne" può chiedere ex novo di aderire alle organizzazioni internazionali quali ONU, Nato e, da ultimo, l'UE giacchè nel diritto internazionale, nella successione degli Stati, vige la regola della cc.dd. "tabula rasa". Vale a dire non c'è continuità degli impegni internazionali sottoscritti dal precedente soggetto internazionale. L'articolo 49 TUE stabilisce le regole per l'adesione di nuovi Stati "europei" all'Unione. Per Stato "europeo" si intende non soltanto il dato geografico (che pure è rilevante), bensì la presenza di un insieme di requisiti, di valori comuni, di idee, di valori culturali che formano il DNA dello Stato che chiede di aderire all'UE. Ad esempio al Regno del Marocco nel 1987 non fu accettata la sua richiesta di adesione all'ora Comunità economica europea. Lo Stato richiedente deve rispettare, pertanto, i valori "della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini" (art. 2 TUE). Ulteriore condizione di accesso all'UE è il rispetto dei criteri cc.dd. "di Copenaghen", che prendono il nome dalla sede del Consiglio europeo nel quale nel 1993 furono decisi, che sono sostanzialmente 3 + 1. Il criterio politico richiama i valori dell'art. 2 TUE più la stabilità di governo (c'è bisogno di istituzioni stabili che governino in un sistema politico democratico); in questo senso, l'adesione dello Stato al Consiglio d'Europa (da non confondere con le istituzioni UE) ed alla Convenzione sui diritti umani è fortemente richiesta. Il criterio economico postula un'economia (sociale) di mercato capace di competere sul piano della concorrenza internazionale in un regime di liberalizzazioni controllate (antitrust). Il criterio giuridico o dello "dell'acquis comunitario" che richiede la capacità dello Stato di integrare nel proprio ordinamento giuridico tutto il diritto dell'UE esistente (dagli anni '50 ad oggi); accettando insomma diritti ed obblighi a parità con gli altri Stati membri. Poi la prassi ha evidenziato un 4° criterio: ossia la capacità da parte dell'Unione europea di assorbire nuovi Stati europei non alterando il ritmo e l'andamento coerente dell'integrazione europea. Credo che la Scozia già oggi sia pressochè in regola con suddetti parametri. La procedura di adesione, tuttavia, non è semplice e può durare anche molti anni (si pensi alla Turchia). Dopo una fase che potremmo definire interna all'UE (fase comunitaria) – si pensi ai pareri di Parlamento europeo, Consiglio e Commissione – si passa alla fase intergovernativa. Afferma l'art. 49, secondo comma, TUE "Le condizioni per l'ammissione e gli adattamenti dei trattati su cui è fondata l'Unione, da essa determinati, formano l'oggetto di un accordo tra gli Stati membri e lo Stato richiedente. Tale accordo è sottoposto a ratifica da tutti gli Stati contraenti conformemente alle loro rispettive norme costituzionali".  Si tratta quindi di un accordo internazionale che per entrare in vigore necessita della ratifica da parte di tutti gli Stati membri. Vige pertanto il regime dell'unanimità. Qualora i fautori della secessione avessero la meglio, è auspicabile una transizione democratica e il più possibile indolore, nel rispetto della democrazia e dell'autodeterminazione dei popoli.