sabato 21 dicembre 2013

Sentenza Corte di giustizia UE sui volantini commerciali "Ingannevoli"


SENTENZA DELLA CORTE DI GIUSTIZIA UE (Sesta Sezione) 19 dicembre 2013 (*)

«Rinvio pregiudiziale – Tutela dei consumatori – Pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori – Direttiva 2005/29/CE – Articolo 6, paragrafo 1 – Nozione di “azione ingannevole” – Carattere cumulativo delle condizioni elencate dalla disposizione di cui trattasi»

Nella causa C281/12, avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dal Consiglio di Stato (Italia) con decisione del 13 dicembre 2011, pervenuta in cancelleria il 6 giugno 2012, nel procedimento Trento Sviluppo srl, Centrale Adriatica Soc. coop. arl contro Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato,

LA CORTE (Sesta Sezione), composta da A. Borg Barthet (relatore), presidente di sezione, E. Levits e M. Berger, giudici,
avvocato generale: J. Kokott cancelliere: A. Impellizzeri, amministratore 
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 26 settembre 2013, considerate le osservazioni presentate:
per la Trento Sviluppo srl e la Centrale Adriatica Soc. coop. arl, da M. Pacilio, avvocato;
per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da S. Varone e P. Garofoli, avvocati dello Stato;
per il governo lituano, da D. Kriaučiūnas e V. Kazlauskaitė-Švenčionienė, in qualità di agenti; per il governo ungherese, da M. Fehér e K. Szíjjártó, in qualità di agenti; per la Commissione europea, da L. Pignataro-Nolin e M. van Beek, in qualità di agenti,
vista la decisione, adottata dopo aver sentito l’avvocato generale, di giudicare la causa senza
conclusioni, ha pronunciato la seguente sentenza.

La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali») (GU L 149, pag. 22).
Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia tra, da un lato, la Trento Sviluppo srl (in prosieguo: la «Trento Sviluppo») e la Centrale Adriatica Soc. coop. arl (in prosieguo: la «Centrale Adriatica») e, dall’altro, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (in prosieguo: l’«AGCM») in merito a una pratica commerciale di queste due società qualificata come «ingannevole» dall’AGCM.
Contesto normativo
Il diritto dell’Unione
Il considerando 7 della direttiva 2005/29 enuncia, tra l’altro, che essa riguarda le pratiche commerciali il cui intento diretto è quello di influenzare le decisioni di natura commerciale dei consumatori relative a prodotti.
Secondo il considerando 11 di tale direttiva, essa introduce un unico divieto generale di quelle pratiche commerciali sleali che falsano il comportamento economico dei consumatori.
Il considerando 13 della richiamata direttiva è formulato nei termini seguenti:
«(...) Il divieto unico generale comune istituito dalla presente direttiva si applica pertanto alle pratiche commerciali sleali che falsano il comportamento economico dei consumatori. (...) Il divieto generale si articola attraverso norme riguardanti le due tipologie di pratiche commerciali più diffuse, vale a dire le pratiche commerciali ingannevoli e quelle aggressive».
Ai sensi del considerando 14 della medesima direttiva:
«È auspicabile che nella definizione di pratiche commerciali ingannevoli rientrino quelle pratiche, tra cui la pubblicità ingannevole, che inducendo in errore il consumatore gli impediscono di scegliere in modo consapevole e, di conseguenza, efficiente. (...)».
L’articolo 2, lettera e), della direttiva 2005/29 definisce la nozione corrispondente all’espressione «falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori» come l’«impiego di una pratica commerciale idonea ad alterare sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso».
L’articolo 2, lettera k), di tale direttiva definisce la nozione di «decisione di natura commerciale» come «una decisione presa da un consumatore relativa a se acquistare o meno un prodotto, in che modo farlo e a quali condizioni, se pagare integralmente o parzialmente, se tenere un prodotto o disfarsene o se esercitare un diritto contrattuale in relazione al prodotto. Tale decisione può portare il consumatore a compiere un’azione o all’astenersi dal compierla».
Sentenza
L’articolo 6, paragrafo 1, della citata direttiva così dispone:
«È considerata ingannevole una pratica commerciale che contenga informazioni false e sia pertanto non veritiera o in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, inganni o possa ingannare il consumatore medio, anche se l’informazione è di fatto corretta, riguardo a uno o più dei seguenti elementi e in ogni caso lo induca o sia idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso:
(...) b) le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità (...) (...)».
Il diritto italiano
Il decreto legislativo n. 206 – Codice del consumo, del 6 settembre 2005 (supplemento ordinario alla GURI n. 162, dell’8 ottobre 2005), contiene un articolo 21, comma 1, lettera b), inserito dal decreto legislativo n. 146, del 2 agosto 2007, che ha in particolare trasposto la direttiva 2005/29 nel diritto interno. Tale articolo così dispone:
«È considerata ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso:
(...) b) le caratteristiche principali del prodotto, quali la sua disponibilità, (...)».
Procedimento principale e questione pregiudiziale
La Trento Sviluppo gestisce alcuni grandi supermercati nella provincia di Trento (Italia). Tali supermercati sono affiliati a un gruppo di grande distribuzione, la COOP Italia, del cui sistema la stessa Trento Sviluppo è parte.
La Centrale Adriatica presta servizi a società del gruppo COOP Italia, di cui fa parte.
Nel marzo del 2008 la Centrale Adriatica ha avviato una promozione particolare presso alcuni punti vendita a marchio COOP Italia, nel cui ambito alcuni prodotti venivano posti in offerta a prezzi vantaggiosi.
La promozione è durata dal 25 marzo al 9 aprile 2008. Il volantino pubblicitario recava il titolo «Sconti fino al 50% e tante altre occasioni speciali».
Tra i prodotti posti in offerta in tale volantino pubblicitario a un prezzo promozionale vi era un computer portatile.
Il 10 aprile 2008 un consumatore ha riferito all’AGCM l’asserita scorrettezza di tale comunicazione commerciale in quanto, essendosi recato presso il supermercato di Trento durante il periodo di
A seguito di tale segnalazione, l’AGCM ha avviato nei confronti della Trento Sviluppo e della Centrale Adriatica una procedura per pratiche commerciali scorrette ai sensi degli articoli 20, 21 e 23 del decreto legislativo n. 206, del 6 settembre 2005 – Codice del consumo. Tale procedura si è conclusa con l’adozione, il 22 gennaio 2009, di una decisione che ha inflitto una sanzione pecuniaria a carico di queste due società.
Ognuna di esse ha proposto ricorso avverso tale decisione dinanzi al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, che ha respinto i due ricorsi.
La Trento Sviluppo e la Centrale Adriatica hanno poi impugnato dinanzi al Consiglio di Stato le sentenze pronunciate da detto Tribunale.
Il giudice del rinvio nutre dubbi in merito alla portata della nozione di «pratica commerciale ingannevole», ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2005/29. In proposito esso si chiede se, per essere considerata ingannevole, la pratica commerciale in discorso debba rispondere alla condizione che figura nell’ultima parte della frase introduttiva di tale articolo 6, paragrafo 1, secondo la quale tale pratica commerciale dev’essere idonea a influenzare la decisione commerciale del consumatore. Esso si chiede se tale condizione si aggiunga alle due condizioni alternative indicate nella prima parte di tale frase introduttiva, ovvero che le informazioni presentate siano false o che possano ingannare il consumatore, o se detta condizione costituisca un’altra ipotesi di pratica commerciale ingannevole.
Secondo il giudice del rinvio, il problema dell’interpretazione dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2005/29 trae origine dalle divergenze tra le versioni linguistiche dello stesso. Infatti, le versioni in lingua italiana (che utilizza la locuzione «e in ogni caso») e in lingua tedesca (che utilizza la locuzione «und (...) in jedem Fall») sembrerebbero riferirsi a una disposizione generale ai sensi della quale il solo fatto che una pratica commerciale sia idonea a influenzare la decisione commerciale del consumatore sarebbe sufficiente a qualificarla come ingannevole. Per converso, le versioni in lingua inglese (che impiega la locuzione «and in either case») e in lingua francese («et dans un cas comme dans l’autre») porterebbero a pensare che una pratica commerciale ingannevole possa dirsi concretizzata soltanto se sono soddisfatte, da un lato, una delle due condizioni alternative indicate nella prima parte della frase introduttiva di tale articolo e, dall’altro, la condizione per cui la pratica commerciale dev’essere idonea a influenzare la decisione commerciale del consumatore.
In tale contesto, il Consiglio di Stato ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:
«Se il paragrafo l dell’articolo 6 della direttiva [2005/29], in riferimento alla parte in cui nel testo in italiano usa le parole “e in ogni caso”, debba essere inteso nel senso che, per affermare l’esistenza di una pratica commerciale ingannevole, sia sufficiente che sussista anche uno solo degli elementi di cui alla prima parte del medesimo paragrafo, ovvero se, per affermare l’esistenza di una siffatta pratica commerciale sia necessario anche che sussista l’ulteriore elemento rappresentato dall’idoneità della pratica commerciale a sviare la decisione di natura commerciale adottata dal consumatore».
Sulla questione pregiudiziale
Con la sua questione il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se una pratica commerciale debba essere qualificata come «ingannevole», ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2005/29,
validità della promozione, tale prodotto informatico non era disponibile.
per il solo fatto che tale pratica contenga informazioni false o che possa ingannare il consumatore medio, o se sia inoltre necessario che detta pratica sia idonea a indurre il consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
L’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2005/29 prevede che è considerata ingannevole una pratica commerciale che contenga informazioni false e sia pertanto non veritiera o in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, inganni o possa ingannare il consumatore medio, riguardo, in particolare, alle caratteristiche principali di un prodotto, quali la sua disponibilità, e in ogni caso lo induca o sia idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
Si deve constatare in proposito che, benché la versione in lingua italiana utilizzi la locuzione «e in ogni caso», la quale, secondo il giudice del rinvio, conterrebbe termini che introducono una sorta di «clausola di chiusura», in forza della quale il solo fatto che una pratica commerciale sia idonea a sviare il comportamento economico del consumatore sarebbe sufficiente a qualificare tale pratica come ingannevole, le versioni in lingua spagnola, inglese e francese di detto articolo 6, paragrafo 1, utilizzano invece rispettivamente le locuzioni «y en cualquiera de estos casos», «and in either case» nonché «et dans un cas comme dans l’autre». Riferendosi esplicitamente alle due ipotesi relative al carattere ingannevole della pratica commerciale in discorso, queste tre ultime versioni linguistiche indicano che la pratica commerciale deve altresì indurre il consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
Secondo una giurisprudenza costante, la formulazione utilizzata in una delle versioni linguistiche di una disposizione del diritto dell’Unione non può essere l’unico elemento a sostegno dell’interpretazione di tale disposizione né si può attribuire ad essa, a tal riguardo, un carattere prioritario rispetto alle altre versioni linguistiche. Infatti, tale modo di procedere sarebbe in contrasto con la necessità di applicare in modo uniforme il diritto dell’Unione. In caso di divergenza tra le diverse versioni linguistiche, la disposizione di cui è causa deve quindi essere intesa in funzione dell’economia generale e della finalità della normativa di cui essa fa parte (v. sentenze del 12 novembre 1998, Institute of the Motor Industry, C149/97, Racc. pag. I7053, punto 16, e del 25 marzo 2010, Helmut Müller, C451/08, Racc. pag. I2673, punto 38).
Per quanto riguarda, in primo luogo, l’economia generale dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2005/29, si deve ricordare che le pratiche commerciali ingannevoli, ai sensi dell’articolo 6 della direttiva 2005/29, costituiscono una categoria precisa di pratiche commerciali sleali vietate dall’articolo 5 della stessa (v., in tal senso, sentenze del 23 aprile 2009, VTB-VAB e Galatea, C261/07 e C299/07, Racc. pag. I2949, punto 55, nonché del 19 settembre 2013, CHS Tour Services, C435/11, non ancora pubblicata nella Raccolta, punto 37).
Ai sensi dell’articolo 5, paragrafo 2, di tale direttiva, una pratica commerciale è sleale se è contraria alle norme di diligenza professionale e falsa o è idonea a falsare in misura rilevante il comportamento economico del consumatore medio in relazione al prodotto (citate sentenze VTB- VAB e Galatea, punto 54, nonché CHS Tour Services, punto 36).
Ai sensi dell’articolo 2, lettera e), della direttiva 2005/29, con l’espressione «falsare in misura rilevante il comportamento economico dei consumatori» si intende l’impiego di una pratica commerciale idonea ad alterare sensibilmente la capacità del consumatore di prendere una decisione consapevole, inducendolo pertanto ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. Ne consegue che, perché una pratica sia sleale ai sensi dell’articolo 5 della direttiva 2005/29, essa dev’essere idonea a indurre il consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
Dato che le pratiche commerciali ingannevoli di cui all’articolo 6 della direttiva 2005/29 costituiscono una categoria specifica delle pratiche commerciali sleali contemplate dall’articolo 5, paragrafo 2, della richiamata direttiva, esse devono necessariamente riunire tutti gli elementi costitutivi di tale carattere sleale e, di conseguenza, l’elemento relativo all’idoneità della pratica a falsare in misura rilevante il comportamento economico del consumatore, inducendolo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
Per quanto concerne, in secondo luogo, l’obiettivo perseguito dall’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2005/29, si deve constatare che essa è fondata sull’articolo 169 TFUE e mira a garantire un livello elevato di tutela dei consumatori, mediante l’armonizzazione delle disposizioni degli Stati membri in materia di pratiche commerciali sleali lesive degli interessi economici dei consumatori. Secondo il considerando 7 della direttiva 2005/29, essa riguarda le pratiche commerciali il cui intento diretto è quello di influenzare le decisioni di natura commerciale dei consumatori relative a prodotti. Il considerando 11 di tale direttiva enuncia che essa introduce un unico divieto generale di quelle pratiche commerciali sleali che falsano il comportamento economico dei consumatori. Dal considerando 13 di detta direttiva emerge che sono le due tipologie di pratiche commerciali più diffuse, vale a dire le pratiche commerciali ingannevoli e le pratiche commerciali aggressive, che hanno giustificato l’adozione di norme specifiche al fine di combatterle. Secondo il considerando 14 della medesima direttiva, essa mira a che nella nozione di «pratiche commerciali ingannevoli» rientrino le pratiche che, inducendo in errore il consumatore, gli impediscono di scegliere in modo consapevole e, di conseguenza, efficiente.
Ne risulta che la direttiva 2005/29, allo scopo di garantire un livello elevato di tutela dei consumatori, stabilisce un divieto generale delle pratiche commerciali sleali che falsano il comportamento economico di questi ultimi.
Di conseguenza, perché una pratica commerciale sia qualificata come «ingannevole», ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2005/29, essa deve in particolare essere idonea a indurre il consumatore ad adottare una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso.
Tale interpretazione trova del resto conforto nella giurisprudenza della Corte. Infatti, dal punto 47 della sentenza del 15 marzo 2012, Pereničová e Perenič (C453/10, non ancora pubblicata nella Raccolta), e dal punto 42 della citata sentenza CHS Tour Services, emerge che una pratica commerciale è considerata ingannevole, ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2005/29, qualora l’informazione sia ingannevole e sia idonea ad indurre il consumatore medio ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe preso in assenza di tale pratica.
Inoltre, al fine di fornire al giudice del rinvio tutti gli elementi necessari affinché possa risolvere la controversia dinanzi ad esso pendente, si deve determinare la portata della nozione di «decisione di natura commerciale», ai sensi dell’articolo 2, lettera k), della direttiva 2005/29. Infatti, poiché nel procedimento principale la pratica commerciale riguarda informazioni relative alla disponibilità di un prodotto a un prezzo vantaggioso per un determinato periodo, occorre stabilire se atti preparatori all’eventuale acquisto di un prodotto, come lo spostamento del consumatore fino al negozio o il fatto di entrarvi, possano essere considerati costitutivi di decisioni di natura commerciale, ai sensi della richiamata direttiva.
Dallo stesso tenore letterale dell’articolo 2, lettera k), della direttiva 2005/29 emerge che la nozione di «decisione di natura commerciale» è definita in termini ampi. Infatti, ai sensi di tale disposizione, per decisione di natura commerciale s’intende «una decisione presa da un consumatore relativa a se acquistare o meno un prodotto, in che modo farlo e a quali condizioni». Tale nozione comprende quindi non soltanto la decisione di acquistare o meno un prodotto, ma anche quella che presenta un nesso diretto con quest’ultima, ossia la decisione di entrare nel negozio.
Anche l’articolo 3, paragrafo 1, di tale direttiva depone a favore di una siffatta interpretazione in quanto, ai sensi di tale disposizione, detta direttiva si applica alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori poste in essere prima, durante e dopo un’operazione commerciale relativa a un prodotto.
Occorre pertanto rispondere alla questione sollevata dichiarando che una pratica commerciale dev’essere qualificata come «ingannevole», ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2005/29, qualora tale pratica, da un lato, contenga informazioni false o possa ingannare il consumatore medio e, dall’altro, sia idonea ad indurre il consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. L’articolo 2, lettera k), di tale direttiva dev’essere interpretato nel senso che nella nozione di «decisione di natura commerciale» rientra qualsiasi decisione che sia direttamente connessa con quella di acquistare o meno un prodotto.
Sulle spese
Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Sesta Sezione) dichiara:
Una pratica commerciale dev’essere qualificata come «ingannevole», ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 1, della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti dei consumatori nel mercato interno e che modifica la direttiva 84/450/CEE del Consiglio e le direttive 97/7/CE, 98/27/CE e 2002/65/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e il regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio («direttiva sulle pratiche commerciali sleali»), qualora tale pratica, da un lato, contenga informazioni false o possa ingannare il consumatore medio e, dall’altro, sia idonea ad indurre il consumatore ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. L’articolo 2, lettera k), di tale direttiva dev’essere interpretato nel senso che nella nozione di «decisione di natura commerciale» rientra qualsiasi decisione che sia direttamente connessa con quella di acquistare o meno un prodotto.
Firme
* Lingua processuale: l’italiano.
http://curia.europa.eu/juris/document/document_print.jsf?doclang...eIndex=0&part=1&mode=lst&docid=145910&occ=first&dir=&cid=674101 Pagina 7 di 7

In risposta ad un Amico di Facebook

Mia risposta: "Sai Luca il processo di integrazione europea è un processo difficile e complicato. Come immagini. Però stiamo insieme da 60 anni e non da ieri. Come tutte le "famiglie" ci sono momenti entusiasmanti, momenti tranquilli e momenti di crisi. Si tratta di superare le crisi; peraltro non nate nell'Unione europea ma, com'è noto, negli USA con le bolle Lehman Brothers del 2008. Tuttavia, questa brutta crisi (che attanaglia gran parte dei Paesi industrializzati-occidentali) è l'unica nostra speranza di far comprendere agli Stati membri UE (che presentano sempre rigurgiti di sovranità!) che non è più possibile andare avanti con il modello d'integrazione europea che si è sviluppata fino ad oggi. Piccoli passi, oggi si va più spediti domani si torna indietro; dopo domani si vedrà! Senza un obiettivo ben preciso e chiaro. In passato ha funzionato per vari ordini di motivi: 1) i governi degli Stati membri (a 6-9-12-15 Stati) erano formati da altre personalità che oggi non vedo; 2) l'obiettivo della CECA era controllare la produzione di carbone e acciaio in Europa (specialmente di Germania e Francia) per scongiurare un'altra, definitiva, guerra in Europa e preservare la pace (aspetto questo che oggi non viene ricordato; ma è un merito dell'Ue se non abbiamo avuto più guerre nell'europa targata UE);3) La CEE aveva come obiettivo la creazione del Mercato Comune o unico europeo; obbiettivo raggiunto in parte, ma pur sempre un obiettivo, da perfezionare; 4) Il Trattato di Maastricht ha previsto, tra gli altri obiettivi di grande rilievo come la cittadinanza UE, la protezione dei diritti umani e sociali, ecc., la creazione dell'Unione economica e monetaria (UEM) e la moneta unica. UEM nata monca e incompleta per volere degli Stati membri. Ora bisogna capire se andare avanti oppure fermarci ad una costruzione incompleta. Mi pare che gli Stati stiano decidendo di perfezionale l'UEM. Dopo 20 anni da Maastricht! E sulla scia della crisi devastante, soprattutto sociale. Quindi, comprendo bene lo stato d'animo dei cittadini nel voler a tutti i costi individuare un responsabile di tutto ciò. Lascio al buon senso e alla loro sensibilità culturale decidere. Il che si riduce ad una scelta: rimanere nell'UE riformata che guarda finalmente alle persone e non al solo mercato? Oppure starcene da soli con la ritrovata "liretta" e combattere nei mercati globalizzati?"
Anche sul mio profilo Facebook

venerdì 20 dicembre 2013

La Commissione europea modifica le soglie di applicazione "europee" degli appalti pubblici di lavori, forniture e servizi


Regolamento (UE) n. 1336/2013 della Commissione, del 13 dicembre 2013 , che modifica le direttive 2004/17/CE, 2004/18/CE e 2009/81/CE del Parlamento europeo e del Consiglio riguardo alle soglie di applicazione in materia di procedure di aggiudicazione degli appalti.
Testo rilevante ai fini del SEE 


in Gazzetta ufficiale dell'Unione europea (GUUE) n. L 335 del 14/12/2013 pag. 17 – 18.

LA COMMISSIONE EUROPEA,
visto il trattato sul funzionamento dell’Unione europea,
vista la direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali [1], in particolare l’articolo 69,
vista la direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi [2], in particolare l’articolo 78,
vista la direttiva 2009/81/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 luglio 2009 relativa al coordinamento delle procedure per l’aggiudicazione di taluni appalti di lavori, di forniture e di servizi nei settori della difesa e della sicurezza da parte delle amministrazioni aggiudicatrici/degli enti aggiudicatori, e recante modifica delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE [3], in particolare l’articolo 68,
considerando quanto segue:
(1) Con decisione 94/800/CE [4] il Consiglio ha concluso l’accordo sugli appalti pubblici (qui di seguito denominato "l’accordo"). Occorre che l’accordo sia applicato a qualsiasi appalto pubblico che raggiunge o supera gli importi (qui di seguito denominati "soglie") fissati nell’accordo stesso ed espressi in diritti speciali di prelievo.
(2) Uno degli obiettivi delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE è permettere agli enti aggiudicatori e alle amministrazioni aggiudicatrici che le applicano di adempiere al tempo stesso gli obblighi dell’accordo. A questo scopo, è opportuno che le soglie previste da tali direttive per gli appalti pubblici e alle quali si applica l’accordo siano allineate per garantire che corrispondano al controvalore in euro, arrotondato per difetto al migliaio più vicino, delle soglie di cui all’accordo.
(3) Per motivi di coerenza è opportuno allineare anche le soglie delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE che non sono coperte dall’accordo. Analogamente è opportuno allineare le soglie della direttiva 2009/81/CE alle soglie riviste di cui all’articolo 16 della direttiva 2004/17/CE.
(4) È pertanto opportuno modificare di conseguenza le direttive 2004/17/CE, 2004/18/CE e 2009/81/CE.
(5) Le misure previste dal presente regolamento sono conformi al parere del comitato consultivo per gli appalti pubblici,

HA ADOTTATO IL PRESENTE REGOLAMENTO:
Articolo 1
La direttiva 2004/17/CE è così modificata:
1) Il testo dell’articolo 16 è così modificato:
a) alla lettera a), l’importo "400000 EUR" è sostituito da "414000 EUR";
b) alla lettera b), l’importo "5000000 EUR" è sostituito da "5186000 EUR".
2) Il testo dell’articolo 61 è così modificato:
a) al paragrafo 1, l’importo "400000 EUR" è sostituito da "414000 EUR";
b) al paragrafo 2, l’importo "400000 EUR" è sostituito da "414000 EUR".
Articolo 2
La direttiva 2004/18/CE è così modificata:
1) Il testo dell’articolo 7 è così modificato:
a) alla lettera a), l’importo "130000 EUR" è sostituito da "134000 EUR";
b) alla lettera b), l’importo "200000 EUR" è sostituito da "207000 EUR";
c) alla lettera c), l’importo "5000000 EUR" è sostituito da "5186000 EUR".
2) All’articolo 8, il primo comma è così modificato:
a) alla lettera a), l’importo "5000000 EUR" è sostituito da "5186000 EUR";
b) alla lettera b), l’importo "200000 EUR" è sostituito da "207000 EUR".
3) All’articolo 56, l’importo "5000000 EUR" è sostituito da "5186000 EUR".
4) All’articolo 63, paragrafo 1, primo comma, l’importo "5000000 EUR" è sostituito da "5186000 EUR".
5) All’articolo 67, il paragrafo 1 è così modificato:
a) alla lettera a), l’importo "130000 EUR" è sostituito da "134000 EUR";
b) alla lettera b), l’importo "200000 EUR" è sostituito da "207000 EUR";
c) alla lettera c), l’importo "200000 EUR" è sostituito da "207000 EUR".
Articolo 3
Il testo dell’articolo 8 della direttiva 2009/81/CE è così modificato:
1) alla lettera a), l’importo "400000 EUR" è sostituito da "414000 EUR";
2) alla lettera b), l’importo "5000000 EUR" è sostituito da "5186000 EUR".
Articolo 4
Il presente regolamento entra in vigore il 1° gennaio 2014.

Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.

Fatto a Bruxelles, il 13 dicembre 2013

Per la Commissione
Il presidente
José Manuel Barroso
--------------------------------------------------

NOTE: [1] GUUE L 134 del 30.4.2004, pag. 1.
[2] GUUE L 134 del 30.4.2004, pag. 114.
[3] GUUE L 216 del 20.8.2009, pag. 76.
[4] Decisione 94/800/CE del Consiglio, del 22 dicembre 1994, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell’Uruguay Round (1986-1994) (GU L 336 del 23.12.1994, pag. 1).


domenica 15 dicembre 2013

Riflessioni sul concetto di "sovranità" nel mondo contemporaneo globalizzato


Parlare di "sovranità" oggi è sorprendente se non (a dir poco) utopistico. Sfruttando il generale malcontento e cavalcando l'onda del populismo, e senza argomentare alcuna soluzione alternativa attendibile, c'è ancora chi invoca la sovranità dello Stato avendo in mente la sovranità secondo il Montesquieu (1700) o addrittura il Bodin (1500). Quella sovranità stava ad indicare la posizione di assoluta indipendenza dello Stato nei riguardi di ogni altra entità o persona giuridica esistente al suo esterno (cosiddetta "sovranità esterna"). Tuttavia, com'è noto, nello Stato contemporaneo,  lo jus majestatis subisce non pochi limiti di diritto che derivano sostanzialmente dall'ordinamento internazionale (il cui scopo, lo ricordo, è quello di assicurare la coesistenza fra gli Stati e di tutelare i popoli e i singoli individui (ad esempio: protezione dei diritti umani). Rammento che l'art. 10, prima frase, della Costituzione della Repubblica italiana sancisce in modo inequivoco che "l'ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciute". Ed inoltre, il successivo art. 11, seconda frase, chiarisce ancora meglio che l'Italia "consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo". Pertanto, la sovranità dello Stato, necessariamente, entra in rotta di collisione con ordinamenti sovranazionali (in primo luogo quello dell'Unione europea) e, di conseguenza, incontra dei limiti al proprio esclusivo esercizio (ad esempio le norme consuetudinarie relative al trattamento degli stranieri e degli agenti diplomatici stranieri, o ai principi in materia di divieto di inquinamento transfrontaliero, ecc.). Inoltre lo Stato può acconsentire a delle limitazioni della propria sovranità per effetto dell’adesione a organizzazioni internazionali, ovvero ad enti fortemente sovranazionali (para-costituzionali) come l'Unione europea dotate di propri poteri e funzioni tali da configurare una "interferenza", talora assai penetrante, nella potestà dello Stato stesso. A meno che l'Italia non voglia diventare "anarchica" dal punto di vista internazionale, vale a dire chiusa su se stessa, senza contatti con il mondo, ciò non appare plausibile in un contesto internazionale globalizzato quale quello che viviamo nel terzo millennio. Eppure, evidentemente in modo strumentale, si invoca di continuo la sovranità…senza tener conto che basta un'agenzia di rating (chi sono costoro??) con un giudizio negativo nei confronti di uno Stato (sic!) per far cadere nel baratro economia finanziaria e, aggiungerei, anche l'economia reale (che definirei "costo per i cittadini"). Allora cosa si può fare? 1) lasciare tutte le organizzazioni internazionali e chiuderci in noi stessi; ovvero 2) cercare di partecipare di più alla formazione delle norme internazionali ed, in specie, europee. Ad esempio andando a votare alle prossime elezioni europee del prossimo mese di maggio 2014. Con un Parlamento forte, ben costituito, i cittadini sono rappresentati nel sistema istituzionale e legislativo dell'Unione europea e possono influenzare le sorti di moltissime politiche europee (dall'agricoltura, all'ambiente, alla tutela dei consumatori, all'immigrazione, ecc.). Ciò non accadendo avremo un Parlamento europeo debole che non potrà interloquire a pieno titolo con le altre istituzioni, in particolare, Commissione e Consiglio (dei governi degli Stati membri), lasciando carta bianca ai voleri degli Stati membri più influenti.