L'articolo di Luca Ricolfi apparso su Il
Sole 24 Ore di ieri, che segnalo, analizza la ricerca della Fondazione David
Hume sulle disuguaglianze. Vale la pena approfondire la tematica. Non sempre i
dati e le statistiche fotografano ciò che accade nell'uomo nella sua intima
esistenza e all'interno della famiglia. Se preferite nel contesto sociale.
Buona lettura!
La leggenda delle disuguaglianze crescenti
Da quanti anni lo sentiamo dire? Da quanti anni lo
leggiamo sui giornali? Da quanti anni gli studiosi si affannano a
ricordarcelo?Il mondo sta diventando sempre più diseguale, ci ripetono. Un po'
ovunque le disuguaglianze stanno crescendo in modo esplosivo, o esponenziale,
come si usa dire con abuso di linguaggio (“esponenziale” non significa veloce,
ma semplicemente a tasso costante). E l'aumento delle disuguaglianze, nel giro
di pochi anni, è anche diventato il principale imputato per la crisi che ci
attanaglia dall'agosto del 2007.
Se la crescita si è fermata, ci dicono, è perché vi è
stata una spaventosa crescita delle diseguaglianze.Ma è vero che le
diseguaglianze stanno crescendo in modo così esplosivo? Il dossier della
Fondazione David Hume, che analizza più di 50 anni di storia della
diseguaglianza in quasi tutti i Paesi del mondo, fornisce ora una base di dati
ampia e relativamente completa per provare a fornire qualche risposta (vedi le
pagine 2-5 del giornale). Ed eccone alcune.
Se consideriamo il mondo come un unico Stato, e misuriamo
il grado di diseguaglianza fra i cittadini del mondo, la diseguaglianza è molto
cresciuta negli anni '80, ma ha smesso di crescere intorno al 1992, ed ha
cominciato a diminuire sistematicamente a partire dal 2000. Dunque, nel XXI
secolo la tendenza della diseguaglianza mondiale è alla diminuzione.La
diseguaglianza fra i livelli di benessere delle nazioni, o diseguaglianza
internazionale, ha invece smesso di crescere già intorno al 1990, e si sta
riducendo a un ritmo molto rapido da circa un quarto di secolo.E le
diseguaglianze interne ai vari Paesi del mondo? Qui tutto si può dire, tranne
che esistano tendenze generali. La diseguaglianza interna sta crescendo in modo
preoccupante in Cina (dal 1982) e in India (dal 2002), ma nel resto del mondo
il grado medio di diseguaglianza, dopo aver raggiunto un massimo nel 1996, ha
un andamento sostanzialmente piatto, frutto di movimenti molto complessi e
diversi da Paese a Paese e da periodo a periodo.
La diseguaglianza, ad esempio, nei Paesi ex comunisti ha
fatto un balzo in avanti nei primi anni '90, dopo la caduta del muro di
Berlino, mentre in America latina è in costante diminuzione dall'inizio del XXI
secolo.
E nelle società avanzate?
Qui, forse, incontriamo le
maggiori sorprese. Se consideriamo l'insieme dei Paesi Ocse (più Singapore e
Hong Kong), la tendenza principale della diseguaglianza è stata all'aumento fra
gli anni '80 e gli anni '90, ma negli ultimi 10-15 anni non presenta una
tendenza netta, e se proprio vogliamo trovarne una, è a una lievissima
diminuzione. In alcuni Paesi (ad esempio il Giappone) prevale nettamente la
tendenza all'aumento, in altri (ad esempio la Turchia) prevale quella alla
diminuzione, in altri ancora non è possibile rintracciare alcuna tendenza
sistematica.
Fra questi ultimi vi è anche l'Italia. Da noi è da vent'anni (dal
1993) che il grado di diseguaglianza (misurato con l'indice di Gini) oscilla
intorno a 0.33. Un valore più basso della media (ponderata) dei Paesi Ocse
(pari a 0.35 nel 2013), e decisamente più basso del valore (0.37) che l'indice
aveva in Italia alla fine dei “gloriosi 30 anni”, quelli caratterizzati
dall'espansione dello Stato sociale.
E negli anni della crisi?
Se guardiamo alle società
avanzate, i dati disponibili, talora fermi al 2012 o al 2013, non consentono
alcun racconto unitario, perché la dinamica della diseguaglianza varia
considerevolmente non solo a seconda dei Paesi, ma anche in funzione del modo
di misurare la diseguaglianza, che può riferirsi al reddito o alla ricchezza
netta, a tutti gli strati o solo agli strati estremi (i super-ricchi e gli
ultra-poveri). E tuttavia, fra le innumerevoli storie che emergono dai dati
disponibili, ve n'è almeno una che si presenta con inquietante frequenza,
quella che potremmo chiamare della “curva a V”. In parecchi Paesi (fra cui
l'Italia) il profilo della diseguaglianza negli anni a cavallo della recessione
2008-2009 sembra essere stato prima calante e poi crescente, come se la crisi
avesse prima penalizzato e poi premiato i ricchi. Difficile pensare che questo
movimento, laddove si è manifestato, non abbia a che fare con il movimento
degli indici azionari, prima calanti e poi crescenti.
Se questa lettura avesse qualche fondamento, sarebbe difficile non notare
un paradosso. I progressisti sono ovunque schierati per le politiche di
espansione monetaria, come il Quantitative Easing di Draghi, ma paiono non
rendersi conto di un punto recentemente sottolineato da Pascal Salin, in uno
dei libri più interessanti sulla lunga crisi di questi anni (“Tornare al
capitalismo per evitare le crisi”, Rubbettino 2011): i tassi di interesse bassi
inflazionano il valore degli asset (titoli e immobili), favoriscono la
speculazione, e per questa via, premiano innanzitutto i livelli alti della
gerarchia sociale.
Insomma, dopo anni in cui la diseguaglianza aveva cessato
di crescere, potrebbero essere proprio le politiche pensate per far ripartire
la crescita a innescare un nuovo processo di aumento delle diseguaglianze, dopo
quello degli anni della globalizzazione. È solo un'ipotesi, ma forse varrebbe
la pena rifletterci su.