La sentenza
della Corte costituzionale n. 238/2014 (Presidente e Relatore-Redattore
Giuseppe Tesauro) appare a dir poco rivoluzionaria, quasi "sovversiva"
(in senso positivo secondo il mio punto di vista). Per vari motivi che
brevemente (e non senza difficoltà) vado a spiegare. Rinviando a coloro che
sono maggiormente interessati 1) al sito della Corte costituzionale per il
testo integrale della sentenza e, 2) ai tempestivi commenti di Lorenzo Gradoni e
Pasquale De Sena nel Blog SIDI (http://www.sidi-isil.org/sidiblog).
Alla base del giudizio stanno i giudizi di
legittimità costituzionale promossi dal Tribunale di Firenze in ordine all’art.
1 della legge 17 agosto 1957, n. 848 (Esecuzione dello Statuto delle Nazioni
Unite, firmato a San Francisco il 26 giugno 1945) e dell’art. 1 [recte: art. 3]
della legge 14 gennaio 2013, n. 5 (Adesione della Repubblica italiana alla
Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e
dei loro beni, firmata a New York il 2 dicembre 2004, nonché norme di adeguamento
dell’ordinamento interno. Più nello specifico, il Tribunale di Firenze ha
sollevato questione di legittimità costituzionale: 1) della «norma prodotta nel
nostro ordinamento mediante il recepimento, ai sensi dell’art. 10, primo comma,
Cost.», della consuetudine internazionale accertata dalla Corte internazionale
di giustizia (CIG) nella sentenza del 3 febbraio 2012, nella parte in cui nega la giurisdizione nelle azioni risarcitorie per
danni da crimini di guerra commessi iure
imperii dal Terzo Reich nello Stato
del giudice adito; 2) dell’art. 1 della legge 17 agosto 1957, n. 848
(Esecuzione dello Statuto delle Nazioni Unite, firmato a San Francisco il 26
giugno 1945), nella parte in cui, recependo l’art. 94 dello Statuto dell’ONU, obbliga il giudice nazionale ad adeguarsi
alla pronuncia della CIG quando essa ha stabilito l’obbligo del giudice
italiano di negare la propria giurisdizione nella cognizione della causa civile
di risarcimento del danno per crimini contro l’umanità; 3) dell’art. 1
(recte: art. 3) della legge 14 gennaio 2013 n. 5 (Adesione della Repubblica
italiana alla Convenzione delle Nazioni Unite sulle immunità giurisdizionali
degli Stati e dei loro beni, firmata a New York il 2 dicembre 2004, nonché
norme di adeguamento dell’ordinamento interno), nella parte in cui obbliga il giudice nazionale ad adeguarsi
alla pronuncia della CIG anche quando essa ha stabilito l’obbligo del
giudice italiano di negare la propria giurisdizione nella cognizione della
causa civile di risarcimento del danno per crimini contro l’umanità, commessi
iure imperii dal Terzo Reich nel territorio italiano, in riferimento agli artt.
2 e 24 della Costituzione. Semplificando, la questione ruota intorno agli artt.
2 e 24 della Costituzione italiana. "Le richiamate norme vengono censurate
in riferimento agli artt. 2 e 24 Cost., in quanto, impedendo l’accertamento
giurisdizionale e l’eventuale condanna delle gravi violazioni dei diritti
fondamentali subìte dalle vittime dei crimini di guerra e contro l’umanità,
perpetrati sul territorio dello Stato italiano, investito dall’obbligo di
tutela giurisdizionale, ma commessi da altro Stato, anche se nell’esercizio dei
poteri sovrani (iure imperii), contrasterebbero con il principio di
insopprimibile garanzia della tutela giurisdizionale dei diritti,
consacrato nell’art. 24 Cost., il quale è principio
supremo dell’ordinamento costituzionale italiano ed in quanto tale costituisce limite all’ingresso sia
delle norme internazionali generalmente riconosciute, ex art. 10, primo comma,
Cost., che delle norme contenute in trattati istitutivi di organizzazioni
internazionali aventi gli scopi indicati dall’art. 11 Cost. o derivanti da tali
organizzazioni". Si tratta
pertanto di valutare quale norma deve prevalere tra la consuetudine
internazionale, il diritto pattizio (Statuto ONU e Convenzione delle Nazioni
Unite sulle immunità giurisdizionali degli Stati e dei loro beni) e principi
inviolabili della Costituzione quali, nel nostro caso, la garanzia di una tutela
giurisdizionale effettiva. La sentenza, seppur "contestataria", altro
non intende fare se non garantire un adeguato livello di tutela dei diritti
individuali, ossia, garantire il risarcimento dei danni subìti a seguito di
crimini di guerra ancorché il diritto internazionale – in particolare la richiamata
sentenza della CIG del 3 febbraio 2012 – neghi questa possibilità nel rispetto
dell'immunità degli Stati dalla giurisdizione. La questione non è nuova dinanzi
alle Corti. Ricordo che anche la Corte europea dei diritti dell'uomo di
Strasburgo con la recente sentenza Al
Dulimi del 26 novembre
2013 e già la Corte di giustizia dell'Unione europea nel caso Kadi del 3 settembre
2008 avevano preso posizione nel senso della prevalenza dei diritti
fondamentali su altre norme che impedivano l'esecuzione di quei diritti. In
effetti, la Corte costituzionale, nella fattispecie, ha messo in evidenza la
carente democraticità del sistema ONU
in particolare e dell'ordinamento internazionale in generale; aspetto questo
che non può comprimere o ablare il diritto fondamentale della persona alla
tutela giurisdizionale effettiva. A me pare che una cultura dei diritti umani
si stia assestando nei gangli più intimi degli ordinamenti statali, comportando
così una evoluzione di taluni ordinamenti ancorati a logiche diplomatiche non sempre rispondenti al contesto nel quale
si opera. Soprattutto se si considera che la tutela dei diritti fondamentali è
un capitolo importante e fondamentale del diritto internazionale. E proprio per
questo, non appare più prorogabile la netta separazione a tutt'oggi evidente tra
diritto internazionale "classico" (Stati) e diritto internazionale
dei diritti umani (individui): questa sentenza a mio avviso ha un valore non
soltanto giuridico ma anche pedagogico nella prospettiva testé indicata. E'
un'occasione unica che la CIG e l'intero sistema ONU non possono lascarsi
scappare.