lunedì 11 dicembre 2017

Breve commento introduttivo alla sentenza Corte Ue 5 dicembre 2017 nella causa C-42/17, (c.d. "Taricco II") di seguito proposta


L'obbligo di tutelare gli interessi finanziari dell'Unione europea dev'essere conciliato con il rispetto del principio di legalità dei reati e delle pene.
Pertanto, i giudici italiani, in procedimenti penali riguardanti frodi gravi in materia di Iva, non sono tenuti a disapplicare le norme nazionali sulla prescrizione (sulla base della sentenza Taricco) se ciò contrasta con il suddetto principio.
La Corte suprema di cassazione italiana e la Corte d'appello di Milano devono pronunciarsi in procedimenti penali a carico, rispettivamente, del sig. M.B. e del sig. M.A.S., accusati di frodi gravi in materia di Iva , che rischierebbero di rimanere impunite se dovessero essere applicate le norme del codice penale italiano sulla prescrizione. Tali procedimenti potrebbero invece concludersi con una condanna se il termine di prescrizione previsto da tali norme venisse disapplicato sulla base dei principi espressi dalla Corte di giustizia nella sentenza Taricco, pronunciata in un momento successivo alla commissione dei reati. In tale sentenza, la Corte ha interpretato l'articolo 325 Tfue, secondo cui la Ue e gli Stati membri hanno il dovere di combattere contro la frode e tutte le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell'Unione e di offrire una protezione efficace a tali interessi.
In particolare, la Corte ha dichiarato, nella sentenza Taricco, che la normativa italiana sulla prescrizione dei reati in materia di Iva può violare l'articolo 325 Tfue nell'ipotesi in cui essa impedisca di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell'Unione, o in cui preveda, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari nazionali, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi che ledono gli interessi finanziari dell'Unione. La Corte ha inoltre affermato che i giudici nazionali sono tenuti a dare piena efficacia all'articolo 325 Tfue, disapplicando, all'occorrenza, le norme sulla prescrizione.
La Corte di cassazione e la Corte d'appello di Milano hanno tuttavia ritenuto che i principi derivanti dalla sentenza Taricco potessero comportare una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene, sancito nella Costituzione italiana. Esse si sono di conseguenza rivolte alla Corte costituzionale italiana.
La Corte costituzionale ha sollevato dubbi sulla compatibilità della soluzione che emerge dalla sentenza Taricco con i principi supremi dell'ordine costituzionale italiano e con il rispetto dei diritti inalienabili della persona. In particolare, secondo tale organo giurisdizionale, questa soluzione potrebbe ledere il principio di legalità dei reati e delle pene, il quale impone, segnatamente, che le norme penali siano determinate con precisione e non possano essere retroattive. Essa ha quindi deciso di chiedere alla Corte un chiarimento sul significato da attribuire all'articolo 325 Tfue, letto alla luce della sentenza Taricco.
Con la sua odierna sentenza, emessa nell'ambito di un procedimento accelerato , la Corte rileva che l'articolo 325 Tfue pone a carico degli Stati membri obblighi di risultato che non sono accompagnati da alcuna condizione quanto alla loro attuazione. Spetta quindi ai giudici nazionali competenti dare piena efficacia agli obblighi derivanti dall'articolo 325 Tfue, in particolare applicando i principi enunciati nella sentenza Taricco. La Corte, peraltro, osserva che spetta in prima battuta al legislatore nazionale stabilire norme sulla prescrizione che consentano di ottemperare agli obblighi derivanti dall'articolo 325 Tfue.
Tuttavia, la Corte rileva che, secondo la Corte costituzionale, ai sensi del diritto italiano, la prescrizione rientra nel diritto sostanziale e resta quindi soggetta al principio di legalità dei reati e delle pene. In tale contesto, essa richiama, da un lato, i requisiti di prevedibilità, determinatezza e irretroattività della legge penale derivanti dal principio di legalità dei reati e delle pene, sancito nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea nonché nella Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, e, dall'altro, il fatto che tale principio riveste importanza essenziale tanto negli Stati membri quanto nell'ordinamento giuridico dell'Unione.
Di conseguenza, l'obbligo di garantire un'efficace riscossione delle risorse dell'Unione derivante dall'articolo 325 Tfue non può contrastare con il principio di legalità dei reati e delle pene.
Pertanto, la Corte conclude che quando un giudice nazionale, in procedimenti riguardanti persone accusate di aver commesso reati in materia di IVA, ritiene che l'obbligo di applicare i principi enunciati nella sentenza Taricco contrasti con il principio di legalità, esso non è tenuto a conformarsi a tale obbligo, e ciò neppure qualora il rispetto del medesimo consentisse di rimediare a una situazione nazionale incompatibile con il diritto dell'Unione.

 

domenica 10 dicembre 2017

Taricco Saga Parte II

SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
5 dicembre 2017 (*)
«Rinvio pregiudiziale – Articolo 325 TFUE – Sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e a. (C‑105/14, EU:C:2015:555) – Procedimento penale riguardante reati in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA) – Normativa nazionale che prevede termini di prescrizione che possono determinare l’impunità dei reati – Lesione degli interessi finanziari dell’Unione europea – Obbligo di disapplicare qualsiasi disposizione di diritto interno che possa pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dal diritto dell’Unione – Principio di legalità dei reati e delle pene»
Nella causa C‑42/17,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Corte costituzionale (Italia), con ordinanza del 23 novembre 2016, pervenuta in cancelleria il 26 gennaio 2017, nel procedimento penale a carico di
M.A.S.,
M.B.
con l’intervento di:
Presidente del Consiglio dei Ministri,
LA CORTE (Grande Sezione),
composta da K. Lenaerts, presidente, A. Tizzano, vicepresidente, L. Bay Larsen, T. von Danwitz, J.L. da Cruz Vilaça (relatore), C.G. Fernlund e C. Vajda, presidenti di sezione, A. Borg Barthet, J.‑C. Bonichot, A. Arabadjiev, M. Safjan, F. Biltgen, K. Jürimäe, M. Vilaras ed E. Regan giudici,
avvocato generale: Y. Bot
cancelliere: R. Schiano, amministratore
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 29 maggio 2017,
considerate le osservazioni presentate:
–        per M.A.S., da G. Insolera, A. Soliani e V. Zeno-Zencovich, avvocati;
–        per M.B., da N. Mazzacuva e V. Manes, avvocati;
–        per il governo italiano, da G. Palmieri, in qualità di agente, assistita da G. De Bellis, G. Galluzzo e S. Fiorentino, avvocati dello Stato;
–        per la Commissione europea, da P. Rossi, J. Baquero Cruz, H. Krämer e K. Banks, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 18 luglio 2017,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1        La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull’interpretazione dell’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE come interpretato dalla sentenza dell’8 settembre 2015, Taricco e a. (C‑105/14, EU:C:2015:555) (in prosieguo: la «sentenza Taricco»).
2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di un procedimento penale a carico di M.A.S. e M.B. relativo a reati in materia di imposta sul valore aggiunto (IVA).
 Contesto normativo
 Diritto dell’Unione 
3        L’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE prevede quanto segue:
«1.      L’Unione e gli Stati membri combattono contro la frode e le altre attività illegali che ledono gli interessi finanziari dell’Unione stessa mediante misure adottate a norma del presente articolo, che siano dissuasive e tali da permettere una protezione efficace negli Stati membri e nelle istituzioni, organi e organismi dell’Unione.
2.      Gli Stati membri adottano, per combattere contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione, le stesse misure che adottano per combattere contro la frode che lede i loro interessi finanziari».
 Diritto italiano
4        L’articolo 25 della Costituzione così dispone:
«Nessuno può essere distolto dal giudice naturale precostituito per legge.
Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.
Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge».
5        L’articolo 157 del codice penale, come modificato dalla legge del 5 dicembre 2005, n. 251 (GURI n. 285 del 7 dicembre 2005; in prosieguo: il «codice penale»), prevede quanto segue:
«La prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e a quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria.
(...)».
6        L’articolo 160 del codice penale è così formulato:
«Il corso della prescrizione è interrotto dalla sentenza di condanna o dal decreto di condanna.
Interrompono pure la prescrizione l’ordinanza che applica le misure cautelari personali e (...) il decreto di fissazione della udienza preliminare (...).
La prescrizione interrotta comincia nuovamente a decorrere dal giorno della interruzione. Se più sono gli atti interruttivi, la prescrizione decorre dall’ultimo di essi; ma in nessun caso i termini stabiliti nell’articolo 157 possono essere prolungati oltre il termine di cui all’articolo 161, secondo comma, fatta eccezione per i reati di cui all’articolo 51, commi 3‑bis e 3‑quater, del codice di procedura penale».
7        Ai sensi dell’articolo 161, secondo comma, del codice penale:
«Salvo che si proceda per i reati di cui all’articolo 51, commi 3‑bis e 3‑quater, del codice di procedura penale, in nessun caso l’interruzione della prescrizione può comportare l’aumento di più di un quarto del tempo necessario a prescrivere (...)».
8        Ai sensi dell’articolo 2 del decreto legislativo del 10 marzo 2000, n. 74, recante nuova disciplina dei reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto (GURI n. 76 del 31 marzo 2000; in prosieguo: il «d.lgs. n. 74/2000»), la presentazione di una dichiarazione IVA fraudolenta che menzioni fatture o altri documenti relativi a operazioni inesistenti è punita con la reclusione da un anno e sei mesi a sei anni.
 Procedimento principale e questioni pregiudiziali
9        Nella sentenza Taricco, la Corte ha dichiarato che il combinato disposto dell’articolo 160, ultimo comma, e dell’articolo 161 del codice penale (in prosieguo: le «disposizioni del codice penale in questione»), nella parte in cui tali disposizioni prevedono che un atto interruttivo della prescrizione verificatosi nell’ambito di procedimenti penali riguardanti frodi gravi in materia di IVA comporti il prolungamento del termine di prescrizione di solo un quarto della sua durata iniziale, è idoneo a pregiudicare gli obblighi imposti agli Stati membri dall’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE, nell’ipotesi in cui tali disposizioni nazionali impediscano di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, o in cui prevedano, per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, termini di prescrizione più lunghi di quelli previsti per i casi di frode che ledono gli interessi finanziari dell’Unione. La Corte ha altresì dichiarato che il giudice nazionale competente è tenuto a dare piena efficacia all’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE disapplicando, all’occorrenza, le disposizioni nazionali che abbiano per effetto di impedire allo Stato membro interessato di rispettare gli obblighi impostigli dalle suddette disposizioni del Trattato FUE. 
10      La Corte suprema di cassazione (Italia) e la Corte d’appello di Milano (Italia), che hanno rimesso alla Corte costituzionale (Italia) le questioni di costituzionalità, ritengono che la regola tratta da detta sentenza sia applicabile nell’ambito di due procedimenti pendenti dinanzi alle medesime. Tali procedimenti, infatti, hanno ad oggetto reati previsti dal decreto n. 74/2000 suscettibili di essere qualificati come gravi. Inoltre, detti reati sarebbero prescritti ove si dovessero applicare le disposizioni del codice penale in questione mentre, in caso contrario, i suddetti procedimenti si potrebbero concludere con una pronuncia di condanna.
11      La Corte d’appello di Milano, inoltre, dubita che l’obbligo derivante dall’articolo 325, paragrafo 2, TFUE sia rispettato per quanto riguarda il procedimento pendente dinanzi ad essa. Infatti, il reato di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, previsto all’articolo 291 quater del decreto del Presidente della Repubblica del 23 gennaio 1973, n. 43, recante approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale (GURI n. 80 del 28 marzo 1973), benché assimilabile a reati puniti dal decreto n. 74/2000, come quelli oggetto dei procedimenti principali, non è soggetto alle medesime regole sul limite del termine di prescrizione previste per tali reati.
12      La Corte suprema di cassazione e la Corte d’appello di Milano ritengono quindi di essere tenute, conformemente alla regola enunciata dalla sentenza Taricco, a disapplicare il termine di prescrizione previsto dalle disposizioni del codice penale in questione e a pronunciarsi sul merito.
13      La Corte costituzionale solleva dubbi sulla compatibilità di una soluzione del genere con i principi supremi dell’ordine costituzionale italiano e con il rispetto dei diritti inalienabili della persona. In particolare, secondo tale organo giurisdizionale, questa soluzione potrebbe ledere il principio di legalità dei reati e delle pene, il quale impone, segnatamente, che le norme penali siano determinate con precisione e non possano essere retroattive.
14      A tale riguardo, la Corte costituzionale precisa che, nell’ordinamento giuridico italiano, il regime della prescrizione in materia penale riveste natura sostanziale e, pertanto, rientra nell’ambito di applicazione del principio di legalità, previsto all’articolo 25 della Costituzione italiana. Di conseguenza, tale regime dovrebbe essere disciplinato da norme precise vigenti al momento della commissione del reato considerato.
15      Alla luce di tali premesse, la Corte costituzionale ritiene di essere chiamata dai giudici nazionali interessati a pronunciarsi sul rispetto, da parte della regola enunciata nella sentenza Taricco, del requisito della «determinatezza» che, secondo la Costituzione, deve caratterizzare le norme di diritto penale sostanziale.
16      Pertanto, in primo luogo, si tratterebbe di verificare se l’interessato potesse sapere, al momento della commissione del reato considerato, che il diritto dell’Unione impone al giudice nazionale, in presenza dei presupposti individuati nella suddetta sentenza, di disapplicare le disposizioni del codice penale in questione. Peraltro, il principio secondo cui la natura penale dell’illecito e la pena applicabile devono essere previamente e chiaramente determinabili dall’autore della condotta punibile discenderebbe, altresì, dalla giurisprudenza pertinente della Corte europea dei diritti dell’uomo relativa all’articolo 7 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950 (in prosieguo: la «CEDU»).
17      In secondo luogo, il giudice del rinvio rileva che la sentenza Taricco non precisa a sufficienza gli elementi che il giudice nazionale deve prendere in considerazione per riscontrare il «numero considerevole di casi» cui è legata l’applicazione della regola tratta da tale sentenza, e non pone quindi limiti al potere discrezionale dei giudici.
18      Secondo il suddetto organo giurisdizionale, peraltro, la sentenza Taricco non si pronuncia sulla compatibilità della regola da essa enunciata con i principi supremi dell’ordine costituzionale italiano, e ha espressamente demandato questo compito ai giudici nazionali competenti. Esso rileva, a tale riguardo, come al punto 53 di tale sentenza si affermi che, se il giudice nazionale dovesse decidere di disapplicare le disposizioni del codice penale in questione, detto giudice dovrà allo stesso tempo assicurarsi che i diritti fondamentali degli interessati siano rispettati. Esso aggiunge che al punto 55 di detta sentenza si precisa che una disapplicazione siffatta va disposta con riserva di verifica da parte del giudice nazionale in ordine al rispetto dei diritti degli imputati.
19      Inoltre, il giudice del rinvio rileva che la Corte, nella sentenza Taricco, si è pronunciata sulla questione della compatibilità della regola enunciata in detta sentenza con l’articolo 49 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (in prosieguo: la «Carta») riferendosi unicamente al principio di irretroattività. La Corte non avrebbe tuttavia esaminato l’altro profilo del principio di legalità dei reati e delle pene, ossia la necessità che la norma relativa al regime di punibilità sia sufficientemente determinata. Si tratterebbe tuttavia di un principio comune alle tradizioni costituzionali degli Stati membri, presente anche nel sistema di tutela della CEDU, e che come tale corrisponde a un principio generale del diritto dell’Unione. Orbene, anche qualora si dovesse attribuire natura processuale al regime di prescrizione in materia penale nell’ordinamento giuridico italiano, nondimeno esso dovrebbe essere applicato in base a regole determinate.
20      Alla luce di tali premesse, la Corte costituzionale ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)      Se l’articolo 325, paragrafi 1 e 2, (…) TFUE debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando tale omessa applicazione sia priva di una base legale sufficientemente determinata.
2)      Se l’articolo 325, paragrafi 1 e 2, (…) TFUE debba essere interpretato nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando nell’ordinamento dello Stato membro la prescrizione è parte del diritto penale sostanziale e soggetta al principio di legalità.
3)      Se la [sentenza Taricco] debba essere interpretata nel senso di imporre al giudice penale di non applicare una normativa nazionale sulla prescrizione che osta in un numero considerevole di casi alla repressione di gravi frodi in danno degli interessi finanziari dell’Unione europea, ovvero che prevede termini di prescrizione più brevi per frodi che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea di quelli previsti per le frodi lesive degli interessi finanziari dello Stato, anche quando tale omessa applicazione sia in contrasto con i principi supremi dell’ordine costituzionale dello Stato membro o con i diritti inalienabili della persona riconosciuti dalla Costituzione dello Stato membro».
21      Con ordinanza del 28 febbraio 2017, M.A.S. e M.B. (C‑42/17, non pubblicata, EU:C:2017:168), il presidente della Corte ha deciso di accogliere la domanda del giudice del rinvio diretta a sottoporre la presente causa al procedimento accelerato previsto all’articolo 23 bis dello Statuto della Corte di giustizia dell’Unione europea e all’articolo 105, paragrafo 1, del regolamento di procedura della Corte.
 Sulle questioni pregiudiziali
 Considerazioni preliminari
22      Occorre anzitutto ricordare che il procedimento di rinvio pregiudiziale previsto dall’articolo 267 TFUE instaura un dialogo da giudice a giudice tra la Corte e i giudici degli Stati membri, il quale mira ad assicurare l’unità di interpretazione del diritto dell’Unione nonché la coerenza, la piena efficacia e l’autonomia di tale diritto [v., in tal senso, parere 2/13 (Adesione dell’Unione alla CEDU), del 18 dicembre 2014, EU:C:2014:2454, punto 176].
23      Il procedimento ex articolo 267 TFUE funge dunque da strumento di cooperazione tra la Corte e i giudici nazionali, per mezzo del quale la prima fornisce ai secondi gli elementi d’interpretazione del diritto dell’Unione loro necessari per risolvere la controversia che essi sono chiamati a dirimere (v., in tal senso, sentenza del 5 luglio 2016, Ognyanov, C‑614/14, EU:C:2016:514, punto 16).
24      A tale riguardo, occorre sottolineare che, quando risponde a questioni pregiudiziali, la Corte deve prendere in considerazione, nell’ambito della ripartizione delle competenze tra i giudici dell’Unione e i giudici nazionali, il contesto materiale e normativo nel quale si inseriscono dette questioni, quale definito dalla decisione di rinvio (sentenza del 26 ottobre 2017, Argenta Spaarbank, C‑39/16, EU:C:2017:813, punto 38).
25      Si deve rilevare che, nell’ambito del procedimento all’origine della sentenza Taricco, il Tribunale di Cuneo (Italia) ha interrogato la Corte sull’interpretazione degli articoli 101 TFUE, 107 TFUE e 119 TFUE nonché dell’articolo 158 della direttiva 2006/112/CE del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune d’imposta sul valore aggiunto (GU 2006, L 347, pag. 1).
26      Nella sentenza Taricco, la Corte ha tuttavia ritenuto necessario, ai fini del procedimento penale pendente dinanzi a detto giudice italiano, fornirgli un’interpretazione dell’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE.
27      Nel procedimento principale, la Corte costituzionale solleva la questione di un’eventuale violazione del principio di legalità dei reati e delle pene che potrebbe derivare dall’obbligo, enunciato dalla sentenza Taricco, di disapplicare le disposizioni del codice penale in questione, in considerazione, da un lato, della natura sostanziale delle norme sulla prescrizione stabilite nell’ordinamento giuridico italiano, la quale implica che dette norme siano ragionevolmente prevedibili per i soggetti dell’ordinamento al momento della commissione dei reati contestati senza poter essere modificate retroattivamente in peius, e, dall’altro, della necessità che qualunque normativa nazionale relativa al regime di punibilità si fondi su una base giuridica sufficientemente determinata, al fine di poter delimitare e orientare la valutazione del giudice nazionale.
28      Spetta pertanto alla Corte precisare, tenuto conto degli interrogativi che sono stati sollevati dal giudice del rinvio con riferimento a tale principio e che non erano stati portati a conoscenza della Corte nella causa all’origine della sentenza Taricco, l’interpretazione dell’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE operata da tale sentenza.
 Sulle questioni prima e seconda
29      Con le sue questioni prima e seconda, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE debba essere interpretato nel senso che esso impone al giudice nazionale di disapplicare, nell’ambito di un procedimento penale riguardante reati in materia di IVA, disposizioni interne sulla prescrizione, rientranti nel diritto sostanziale nazionale, che ostino all’inflizione di sanzioni penali effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione o che prevedano, per i casi di frode che ledono tali interessi, termini di prescrizione più brevi di quelli previsti per i casi che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, e ciò anche qualora l’attuazione di tale obbligo comporti una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene a causa dell’insufficiente determinatezza della legge applicabile o di un’applicazione retroattiva di quest’ultima.
30      Occorre ricordare che l’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE impone agli Stati membri di lottare contro le attività illecite lesive degli interessi finanziari dell’Unione con misure effettive e dissuasive nonché di adottare, per combattere la frode lesiva degli interessi finanziari dell’Unione, le stesse misure che adottano per combattere la frode lesiva dei loro interessi finanziari.
31      Poiché le risorse proprie dell’Unione comprendono in particolare, ai sensi della decisione 2014/335/UE, Euratom del Consiglio, del 26 maggio 2014, relativa al sistema delle risorse proprie dell’Unione europea (GU 2014, L 168, pag. 105), le entrate provenienti dall’applicazione di un’aliquota uniforme agli imponibili IVA armonizzati determinati secondo regole dell’Unione, sussiste un nesso diretto tra la riscossione del gettito dell’IVA nell’osservanza del diritto dell’Unione applicabile e la messa a disposizione del bilancio dell’Unione delle corrispondenti risorse IVA, dal momento che qualsiasi lacuna nella riscossione del primo determina potenzialmente una riduzione delle seconde (v., in tal senso, sentenze del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 26, nonché Taricco, punto 38).
32      È compito degli Stati membri garantire una riscossione effettiva delle risorse proprie dell’Unione (v., in tal senso, sentenza del 7 aprile 2016, Degano Trasporti, C‑546/14, EU:C:2016:206, punto 21). A questo proposito, tali Stati membri sono tenuti a procedere al recupero delle somme corrispondenti alle risorse proprie che sono state sottratte al bilancio dell’Unione in conseguenza di frodi.
33      Al fine di assicurare la riscossione integrale delle entrate provenienti dall’IVA e tutelare in tal modo gli interessi finanziari dell’Unione, gli Stati membri dispongono di una libertà di scelta delle sanzioni applicabili, che possono assumere la forma di sanzioni amministrative, di sanzioni penali o di una combinazione delle due (v., in tal senso, sentenze del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 34, nonché Taricco, punto 39).
34      A tale riguardo, occorre tuttavia rilevare, in primo luogo, che possono essere indispensabili sanzioni penali per combattere in modo effettivo e dissuasivo determinate ipotesi di gravi frodi in materia di IVA (v., in tal senso, sentenza Taricco, punto 39).
35      Gli Stati membri, pena la violazione degli obblighi loro imposti dall’articolo 325, paragrafo 1, TFUE, devono quindi assicurarsi che, nei casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione in materia di IVA, siano adottate sanzioni penali dotate di carattere effettivo e dissuasivo (v., in tal senso, sentenza Taricco, punti 42 e 43).
36      Deve pertanto ritenersi che gli Stati membri violino gli obblighi loro imposti dall’articolo 325, paragrafo 1, TFUE qualora le sanzioni penali adottate per reprimere le frodi gravi in materia di IVA non consentano di garantire efficacemente la riscossione integrale di detta imposta. A tale titolo, detti Stati devono altresì assicurarsi che le norme sulla prescrizione previste dal diritto nazionale consentano una repressione effettiva dei reati legati a frodi siffatte.
37      In secondo luogo, ai sensi dell’articolo 325, paragrafo 2, TFUE, gli Stati membri devono adottare, per combattere contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione, in particolare in materia di IVA, le stesse misure che adottano per combattere contro la frode che lede i loro interessi finanziari.
38      Per quanto riguarda le conseguenze di un’eventuale incompatibilità di una normativa nazionale con l’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE, dalla giurisprudenza della Corte emerge che detto articolo pone a carico degli Stati membri obblighi di risultato precisi, che non sono accompagnati da alcuna condizione quanto all’applicazione delle norme enunciate da tali disposizioni (v., in tal senso, sentenza Taricco, punto 51).
39      Spetta quindi ai giudici nazionali competenti dare piena efficacia agli obblighi derivanti dall’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE e disapplicare disposizioni interne, in particolare riguardanti la prescrizione, che, nell’ambito di un procedimento relativo a reati gravi in materia di IVA, ostino all’applicazione di sanzioni effettive e dissuasive per combattere le frodi lesive degli interessi finanziari dell’Unione (v., in tal senso, sentenza Taricco, punti 49 e 58).
40      Si deve ricordare che, al punto 58 della sentenza Taricco, le disposizioni nazionali in questione sono state considerate idonee a pregiudicare gli obblighi imposti allo Stato membro interessato dall’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE, nell’ipotesi in cui dette disposizioni impediscano di infliggere sanzioni penali effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione o in cui prevedano, per i casi di frode che ledono detti interessi, termini di prescrizione più brevi di quelli previsti in casi di frode che ledono gli interessi finanziari di tale Stato membro.
41      Spetta, in prima battuta, al legislatore nazionale stabilire norme sulla prescrizione che consentano di ottemperare agli obblighi derivanti dall’articolo 325 TFUE, alla luce delle considerazioni esposte dalla Corte al punto 58 della sentenza Taricco. È infatti compito del legislatore garantire che il regime nazionale di prescrizione in materia penale non conduca all’impunità in un numero considerevole di casi di frode grave in materia di IVA o non sia, per gli imputati, più severo nei casi di frode lesivi degli interessi finanziari dello Stato membro interessato rispetto a quelli che ledono gli interessi finanziari dell’Unione.
42      A tale riguardo, occorre ricordare che il fatto che un legislatore nazionale proroghi un termine di prescrizione con applicazione immediata, anche con riferimento a fatti addebitati che non sono ancora prescritti, non lede, in linea generale, il principio di legalità dei reati e delle pene (v., in tal senso, sentenza Taricco, punto 57, e giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo citata a tale punto).
43      Ciò premesso, occorre aggiungere che il settore della tutela degli interessi finanziari dell’Unione attraverso la previsione di sanzioni penali rientra nella competenza concorrente dell’Unione e degli Stati membri, ai sensi dell’articolo 4, paragrafo 2, TFUE.
44      Nella fattispecie, alla data dei fatti di cui al procedimento principale, il regime della prescrizione applicabile ai reati in materia di IVA non era stato oggetto di armonizzazione da parte del legislatore dell’Unione, armonizzazione che è successivamente avvenuta, in modo parziale, solo con l’adozione della direttiva (UE) 2017/1371 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2017, relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione mediante il diritto penale (GU 2017, L 198, pag. 29).
45      La Repubblica italiana era quindi libera, a tale data, di prevedere che, nel suo ordinamento giuridico, detto regime ricadesse, al pari delle norme relative alla definizione dei reati e alla determinazione delle pene, nel diritto penale sostanziale e fosse a questo titolo soggetto, come queste ultime norme, al principio di legalità dei reati e delle pene.
46      Dal canto loro, i giudici nazionali competenti, quando devono decidere, nei procedimenti pendenti, di disapplicare le disposizioni del codice penale in questione, sono tenuti ad assicurarsi che i diritti fondamentali delle persone accusate di aver commesso un reato siano rispettati (v., in tal senso, sentenza Taricco, punto 53).
47      A tale riguardo, resta consentito alle autorità e ai giudici nazionali applicare gli standard nazionali di tutela dei diritti fondamentali, a patto che tale applicazione non comprometta il livello di tutela previsto dalla Carta, come interpretata dalla Corte, né il primato, l’unità o l’effettività del diritto dell’Unione (sentenza del 26 febbraio 2013, Åkerberg Fransson, C‑617/10, EU:C:2013:105, punto 29 e giurisprudenza ivi citata).
48      In particolare, per quanto riguarda l’inflizione di sanzioni penali, spetta ai giudici nazionali competenti assicurarsi che i diritti degli imputati derivanti dal principio di legalità dei reati e delle pene siano garantiti.
49      Orbene, secondo il giudice del rinvio, tali diritti non sarebbero rispettati in caso di disapplicazione delle disposizioni del codice penale in questione, nell’ambito dei procedimenti principali, dato che, da un lato, gli interessati non potevano ragionevolmente prevedere, prima della pronuncia della sentenza Taricco, che l’articolo 325 TFUE avrebbe imposto al giudice nazionale, alle condizioni stabilite in detta sentenza, di disapplicare le suddette disposizioni.
50      Dall’altro, secondo detto giudice, il giudice nazionale non può definire il contenuto concreto dei presupposti in presenza dei quali esso dovrebbe disapplicare tali disposizioni – ossia nell’ipotesi in cui esse impediscano di infliggere sanzioni effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave – senza violare i limiti imposti alla sua discrezionalità dal principio di legalità dei reati e delle pene.
51      A tale riguardo, si deve ricordare l’importanza, tanto nell’ordinamento giuridico dell’Unione quanto negli ordinamenti giuridici nazionali, che riveste il principio di legalità dei reati e delle pene, nei suoi requisiti di prevedibilità, determinatezza e irretroattività della legge penale applicabile.
52      Tale principio, quale sancito all’articolo 49 della Carta, si impone agli Stati membri quando attuano il diritto dell’Unione, conformemente all’articolo 51, paragrafo 1, della medesima, come avviene allorché essi prevedano, nell’ambito degli obblighi loro imposti dall’articolo 325 TFUE, di infliggere sanzioni penali per i reati in materia di IVA. L’obbligo di garantire l’efficace riscossione delle risorse dell’Unione non può quindi contrastare con tale principio (v., per analogia, sentenza del 29 marzo 2012, Belvedere Costruzioni, C‑500/10, EU:C:2012:186, punto 23).
53      Inoltre, il principio di legalità dei reati e delle pene appartiene alle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri (v., per quanto riguarda il principio di irretroattività della legge penale, sentenze del 13 novembre 1990, Fedesa e a., C‑331/88, EU:C:1990:391, punto 42, nonché del 7 gennaio 2004, X, C‑60/02, EU:C:2004:10, punto 63) ed è stato sancito da vari trattati internazionali, segnatamente all’articolo 7, paragrafo 1, della CEDU (v., in tal senso, sentenza del 3 maggio 2007, Advocaten voor de Wereld, C‑303/05, EU:C:2007:261, punto 49).
54      Dalle spiegazioni relative alla Carta dei diritti fondamentali (GU 2007, C 303, pag. 17) emerge che, conformemente all’articolo 52, paragrafo 3, della Carta, il diritto garantito all’articolo 49 della medesima ha significato e portata identici al diritto garantito dalla CEDU.
55      Per quanto riguarda gli obblighi derivanti dal principio di legalità dei reati e delle pene, occorre rilevare, in primo luogo, che la Corte europea dei diritti dell’uomo ha dichiarato, a proposito dell’articolo 7, paragrafo 1, della CEDU, che, in base a tale principio, le disposizioni penali devono rispettare determinati requisiti di accessibilità e di prevedibilità per quanto riguarda tanto la definizione del reato quanto la determinazione della pena (v. Corte EDU, 15 novembre 1996, Cantoni c. Francia, CE:ECHR:1996:1115JUD001786291, § 29; Corte EDU, 7 febbraio 2002, E.K. c. Turchia, CE:ECHR:2002:0207JUD002849695, § 51; Corte EDU, 29 marzo 2006, Achour c. Francia, CE:ECHR:2006:0329JUD006733501, § 41, e Corte EDU, 20 settembre 2011, OAO Neftyanaya Kompaniya Yukos c. Russia, CE:ECHR:2011:0920JUD001490204, §§ da 567 a 570).
56      In secondo luogo, occorre sottolineare che il requisito della determinatezza della legge applicabile, che è inerente a tale principio, implica che la legge definisca in modo chiaro i reati e le pene che li reprimono. Tale condizione è soddisfatta quando il singolo può conoscere, in base al testo della disposizione rilevante e, se del caso, con l’aiuto dell’interpretazione che ne sia stata fatta dai giudici, gli atti e le omissioni che chiamano in causa la sua responsabilità penale (v., in tal senso, sentenza del 28 marzo 2017, Rosneft, C‑72/15, EU:C:2017:236, punto 162).
57      In terzo luogo, il principio di irretroattività della legge penale osta in particolare a che un giudice possa, nel corso di un procedimento penale, sanzionare penalmente una condotta non vietata da una norma nazionale adottata prima della commissione del reato addebitato, ovvero aggravare il regime di responsabilità penale di coloro che sono oggetto di un procedimento siffatto (v., per analogia, sentenza dell’8 novembre 2016, Ognyanov, C‑554/14, EU:C:2016:835, punti da 62 a 64 e giurisprudenza ivi citata).
58      A tale riguardo, come rilevato al punto 45 della presente sentenza, i requisiti di prevedibilità, determinatezza e irretroattività inerenti al principio di legalità dei reati e delle pene si applicano, nell’ordinamento giuridico italiano, anche al regime di prescrizione relativo ai reati in materia di IVA.
59      Ne deriva, da un lato, che spetta al giudice nazionale verificare se la condizione richiesta dal punto 58 della sentenza Taricco, secondo cui le disposizioni del codice penale in questione impediscono di infliggere sanzioni penali effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione, conduca a una situazione di incertezza nell’ordinamento giuridico italiano quanto alla determinazione del regime di prescrizione applicabile, incertezza che contrasterebbe con il principio della determinatezza della legge applicabile. Se così effettivamente fosse, il giudice nazionale non sarebbe tenuto a disapplicare le disposizioni del codice penale in questione.
60      Dall’altro, i requisiti menzionati al punto 58 della presente sentenza ostano a che, in procedimenti relativi a persone accusate di aver commesso reati in materia di IVA prima della pronuncia della sentenza Taricco, il giudice nazionale disapplichi le disposizioni del codice penale in questione. Infatti, la Corte ha già sottolineato, al punto 53 di tale sentenza, che a dette persone potrebbero, a causa della disapplicazione di queste disposizioni, essere inflitte sanzioni alle quali, con ogni probabilità, sarebbero sfuggite se le suddette disposizioni fossero state applicate. Tali persone potrebbero quindi essere retroattivamente assoggettate a un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato.
61      Se il giudice nazionale dovesse quindi essere indotto a ritenere che l’obbligo di disapplicare le disposizioni del codice penale in questione contrasti con il principio di legalità dei reati e delle pene, esso non sarebbe tenuto a conformarsi a tale obbligo, e ciò neppure qualora il rispetto del medesimo consentisse di rimediare a una situazione nazionale incompatibile con il diritto dell’Unione (v., per analogia, sentenza del 10 luglio 2014, Impresa Pizzarotti, C‑213/13, EU:C:2014:2067, punti 58 e 59). Spetta allora al legislatore nazionale adottare le misure necessarie, come rilevato ai punti 41 e 42 della presente sentenza.
62      Alla luce delle suesposte considerazioni, occorre rispondere alle questioni prima e seconda dichiarando che l’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE dev’essere interpretato nel senso che esso impone al giudice nazionale di disapplicare, nell’ambito di un procedimento penale riguardante reati in materia di IVA, disposizioni interne sulla prescrizione, rientranti nel diritto sostanziale nazionale, che ostino all’inflizione di sanzioni penali effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione o che prevedano, per i casi di frode grave che ledono tali interessi, termini di prescrizione più brevi di quelli previsti per i casi che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, a meno che una disapplicazione siffatta comporti una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene a causa dell’insufficiente determinatezza della legge applicabile, o dell’applicazione retroattiva di una normativa che impone un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato.
 Sulla terza questione
63      In considerazione della risposta fornita alle prime due questioni, non è necessario rispondere alla terza questione.
 Sulle spese
64      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
L’articolo 325, paragrafi 1 e 2, TFUE dev’essere interpretato nel senso che esso impone al giudice nazionale di disapplicare, nell’ambito di un procedimento penale riguardante reati in materia di imposta sul valore aggiunto, disposizioni interne sulla prescrizione, rientranti nel diritto sostanziale nazionale, che ostino all’inflizione di sanzioni penali effettive e dissuasive in un numero considerevole di casi di frode grave che ledono gli interessi finanziari dell’Unione europea o che prevedano, per i casi di frode grave che ledono tali interessi, termini di prescrizione più brevi di quelli previsti per i casi che ledono gli interessi finanziari dello Stato membro interessato, a meno che una disapplicazione siffatta comporti una violazione del principio di legalità dei reati e delle pene a causa dell’insufficiente determinatezza della legge applicabile, o dell’applicazione retroattiva di una normativa che impone un regime di punibilità più severo di quello vigente al momento della commissione del reato.
Lenaerts
Tizzano
Bay Larsen
von Danwitz
Da Cruz Vilaça
Fernlund
Vajda
Borg Barthet
Bonichot
Arabadjiev
Safjan
Biltgen

Jürimäe
Vilaras
Regan
Così deciso e pronunciato a Lussemburgo il 5 dicembre 2017.
Il cancelliere 
 
Il presidente
A. Calot Escobar
 
K. Lenaerts

*      Lingua processuale: l’italiano.

domenica 15 ottobre 2017

Sentenza Corte di giustizia dell'Unione europea (Grande Sezione) 10 ottobre 2017, causa C‑413/15, Farrell. a)tutela dei diritti dei singoli; b) effetti diretti di una direttiva nei confronti di un un organismo di diritto privato considerato un’emanazione dello Stato

Edizione provvisoria
SENTENZA DELLA CORTE (Grande Sezione)
10 ottobre 2017 (*)
«Rinvio pregiudiziale – Ravvicinamento delle legislazioni – Assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli – Direttiva 90/232/CEE – Articolo 1 – Responsabilità in caso di danni alla persona causati a qualsiasi passeggero diverso dal conducente – Assicurazione obbligatoria – Effetto diretto – Direttiva 84/5/CEE – Articolo 1, paragrafo 4 – Organismo incaricato di risarcire i danni alle cose o alle persone causati da un veicolo non identificato o non assicurato – Invocabilità di una direttiva nei confronti di uno Stato – Condizioni in presenza delle quali un organismo di diritto privato può essere considerato un’emanazione dello Stato e sono ad esso opponibili le disposizioni di una direttiva idonee a produrre un effetto diretto»
Nella causa C‑413/15,
avente ad oggetto la domanda di pronuncia pregiudiziale proposta alla Corte, ai sensi dell’articolo 267 TFUE, dalla Supreme Court (Corte Suprema, Irlanda), con decisione del 12 maggio 2015, pervenuta in cancelleria il 27 luglio 2015, nel procedimento
Elaine Farrell
contro
Alan Whitty,
Minister for the Environment,
Ireland,
Attorney General,
Motor Insurers Bureau of Ireland (MIBI),
LA CORTE (Grande Sezione),
composta da K. Lenaerts, presidente, A. Tizzano, vicepresidente, R. Silva de Lapuerta, M. Ilešič, L. Bay Larsen, E. Juhász, M. Berger, A. Prechal e M. Vilaras, presidenti di sezione, A. Rosas, A. Borg Barthet (relatore), J. Malenovský, D. Šváby, K. Jürimäe e C. Lycourgos, giudici,
avvocato generale: E. Sharpston
cancelliere: T. Millett, cancelliere aggiunto
vista la fase scritta del procedimento e in seguito all’udienza del 5 luglio 2016,
considerate le osservazioni presentate:
–        per il Minister for the Environment, l’Ireland e l’Attorney General, da E. Creedon e S. Purcell, in qualità di agenti, assistite da J. Connolly, SC, e C. Toland, BL;
–         per il Motor Insurers Bureau of Ireland (MIBI), da J. Walsh, solicitor, e B. Murray, barrister, nonché da L. Reidy et B. Kennedy, SC;
–        per il governo francese, da G. de Bergues, D. Colas e C. David, in qualità di agenti;
–        per la Commissione europea, da H. Krämer e K.-Ph. Wojcik, in qualità di agenti,
sentite le conclusioni dell’avvocato generale, presentate all’udienza del 22 giugno 2017,
ha pronunciato la seguente
Sentenza
1        Con la domanda di pronuncia pregiudiziale in esame si chiede se le disposizioni della seconda direttiva 84/5/CEE del Consiglio, del 30 dicembre 1983, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli (GU 1984, L 8, pag. 17), come modificata dalla terza direttiva 90/232/CEE del Consiglio, del 14 maggio 1990 (GU 1990, L 129, pag. 33) (in prosieguo: la «seconda direttiva») che siano idonee a produrre un effetto diretto siano opponibili a un organismo di diritto privato al quale uno Stato membro abbia demandato il compito di cui all’articolo 1, paragrafo 4, della stessa direttiva. 
2        Tale domanda è stata presentata nell’ambito di una controversia che in primo grado vedeva contrapposti, da un lato, la sig.ra Elaine Farrell e, dall’altro, il sig. Alan Whitty, il Minister for the Environment (ministro dell’Ambiente, Irlanda), l’Ireland (Irlanda), l’Attorney General nonché il Motor Insurers Bureau of Ireland (MIBI), in merito al risarcimento dei danni fisici subiti dalla sig.ra Farrell a causa di un incidente stradale.
 Contesto normativo
 Diritto dell’Unione
3        L’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 72/166/CEE del Consiglio, del 24 aprile 1972, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli, e di controllo dell’obbligo di assicurare tale responsabilità (GU 1972, L 103, pag. 1; in prosieguo: la «prima direttiva»), prevede quanto segue:
«Ogni Stato membro adotta tutte le misure necessarie (…) affinché la responsabilità civile relativa alla circolazione dei veicoli che stazionano abitualmente nel suo territorio sia coperta da un’assicurazione. I danni coperti e le modalità dell’assicurazione sono determinati nell’ambito di tali misure».
4        L’articolo 1 della seconda direttiva così dispone: 
«1.      L’assicurazione di cui all’articolo 3, paragrafo 1, della [prima direttiva] copre obbligatoriamente i danni alle cose e i danni alle persone. 
(...)
4.      Ciascuno Stato membro crea o autorizza un organismo con il compito di rimborsare, almeno entro i limiti dell’obbligo di assicurazione, i danni alle cose o alle persone causati da un veicolo non identificato o per il quale non vi è stato adempimento dell’obbligo di assicurazione conformemente al paragrafo 1. Questa disposizione lascia impregiudicato il diritto degli Stati membri di conferire o no all’intervento di questo organismo un carattere sussidiario, nonché quello di regolamentare le azioni tra questo organismo e il responsabile o i responsabili del sinistro ed altri assicuratori o istituti di sicurezza sociale che siano tenuti ad indennizzare la vittima per lo stesso sinistro. Tuttavia, gli Stati membri non possono autorizzare l’organismo a subordinare il pagamento dell’indennizzo alla condizione che la vittima dimostri in qualsiasi modo che il responsabile del sinistro non è in grado o rifiuta di pagare. 
(...)».
5        A norma dell’articolo 2, paragrafo 1, primo comma, della seconda direttiva:
«Ciascuno Stato membro prende le misure necessarie affinché qualsiasi disposizione legale o clausola contrattuale contenuta in un contratto di assicurazione rilasciato conformemente all’articolo 3, paragrafo 1, della [prima] direttiva, che escluda dall’assicurazione l’utilizzo o la guida di autoveicoli da parte:
–        di persone non aventi l’autorizzazione esplicita o implicita o
–        di persone non titolari di una patente di guida che consenta loro di guidare l’autoveicolo in questione o
–        di persone che non si sono conformate agli obblighi di legge di ordine tecnico concernenti le condizioni e la sicurezza del veicolo in questione, 
sia considerata, per l’applicazione dell’articolo 3, paragrafo 1, della [prima] direttiva, senza effetto per quanto riguarda l’azione dei terzi vittime di un sinistro».
6        Ai sensi dei considerando da secondo a quinto della terza direttiva 90/232 (in prosieguo: la «terza direttiva»):
«[C]onsiderando che l’articolo 3 della [prima] direttiva impone a ciascuno Stato membro di adottare tutte le misure necessarie affinché la responsabilità civile relativa alla circolazione dei veicoli che stazionano abitualmente sul suo territorio sia coperta da un’assicurazione; che i danni coperti nonché le modalità di detta assicurazione sono determinati nel quadro di tali misure; 
considerando che la [seconda direttiva] ha notevolmente ridotto le disparità relative al livello e al contenuto dell’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile negli Stati membri; che continuano tuttavia ad esistere notevoli disparità nella copertura fornita da tale assicurazione;
considerando che occorre garantire che le vittime di sinistri della circolazione automobilistica ricevano un trattamento comparabile indipendentemente dal luogo dell’[Unione] ove il sinistro è avvenuto;
considerando in particolare che in alcuni Stati membri esistono lacune nella copertura fornita dall’assicurazione obbligatoria dei passeggeri di autoveicoli; che, per proteggere tale categoria particolarmente vulnerabile di vittime potenziali, è necessario colmare tali lacune».
7        L’articolo 1, primo comma, della terza direttiva così dispone:
«Fatto salvo l’articolo 2, paragrafo 1, secondo comma della [seconda] direttiva, l’assicurazione di cui all’articolo 3, paragrafo 1 della [prima] direttiva copre la responsabilità per i danni alla persona di qualsiasi passeggero, diverso dal conducente, derivanti dall’uso del veicolo».
8        Ai sensi dell’articolo 6, paragrafo 2, della terza direttiva, l’Irlanda disponeva di un termine fino al 31 dicembre 1998 per conformarsi all’articolo 1 di tale direttiva per quanto riguarda i passeggeri sui sedili posteriori delle motociclette e di un termine fino al 31 dicembre 1995 per conformarsi al detto articolo 1 per quanto riguarda gli altri veicoli.
 Diritto irlandese
9        L’articolo 56 del Road Traffic Act 1961 (legge del 1961 sulla circolazione stradale), nella sua versione applicabile al procedimento principale (in prosieguo: la «legge del 1961»), impone a ogni utilizzatore di autoveicoli di essere coperto da un’assicurazione contro i danni alle persone o alle cose causati a terzi in un luogo pubblico. Tuttavia, tale obbligo di assicurazione non si estende ai danni causati alle persone che viaggiano in parti di veicoli che non siano attrezzate per i passeggeri.
10      In forza dell’articolo 78 della legge del 1961, gli assicuratori che svolgono un’attività di assicurazione automobilistica in Irlanda devono essere membri del MIBI.
11      Il MIBI è una società a responsabilità limitata da garanzia senza capitale sociale integralmente finanziata dai suoi membri, che sono gli assicuratori operanti sul mercato dell’assicurazione automobilistica in Irlanda. Il MIBI è stato costituito nel novembre 1954, in seguito ad un accordo tra il Department of Local Government (Dipartimento degli enti locali, Irlanda) e gli assicuratori che emettono polizze di assicurazione automobilistica in Irlanda.
12      A norma dell’articolo 2 di un accordo concluso nel 1988 tra il Ministro dell’Ambiente e il MIBI, chiunque cerchi di ottenere un indennizzo da un conducente non assicurato o non identificato può intentare un’azione nei confronti del MIBI. Conformemente all’articolo 4 di tale accordo, il MIBI accetta di indennizzare le vittime di conducenti non assicurati o non identificati. L’obbligo del MIBI di indennizzare le vittime sorge quando un credito accertato giudizialmente non è integralmente pagato alla scadenza di un termine di 28 giorni, a condizione che tale decisione giudiziaria copra «ogni responsabilità per danni alle persone o alle cose che deve essere coperta da una polizza assicurativa approvata ai sensi dell’articolo 56 della [legge del 1961]». 
 Procedimento principale e questioni pregiudiziali
13      La sig.ra Farrell è stata vittima di un incidente stradale il 26 gennaio 1996 mentre era passeggera di un furgone di cui il proprietario e conducente, il sig. Whitty, aveva perso il controllo. Al momento dell’incidente, la sig.ra Farrell era seduta sul pianale nel retro del veicolo del sig. Whitty, che non era né progettato né costruito per trasportare passeggeri nel retro.
14      Poiché il sig. Whitty non era assicurato per i danni fisici subiti dalla sig.ra Farrell, quest’ultima ha tentato di ottenere un indennizzo presso il MIBI.
15      Il MIBI si è rifiutato di indennizzare la sig.ra Farrell adducendo come motivazione che la responsabilità per i danni fisici da essa subiti non ricadeva nell’assicurazione obbligatoria in forza del diritto irlandese. 
16      Nel settembre 1997, la sig.ra Farrell ha intentato dinanzi ai giudici irlandesi un procedimento nei confronti del sig. Whitty, del Ministro dell’Ambiente, dell’Irlanda, dell’Attorney General e del MIBI, facendo segnatamente valere che le misure nazionali di recepimento in vigore al momento dell’incidente non davano corretta attuazione alle disposizioni pertinenti della prima e della terza direttiva. La High Court (Alta Corte, Irlanda) ha quindi adito la Corte in via pregiudiziale.
17      Nell’ambito di tale rinvio, la Corte ha dichiarato, da un lato, che l’articolo 1 della terza direttiva doveva essere interpretato nel senso che ostava a una normativa nazionale secondo cui l’assicurazione obbligatoria della responsabilità civile per gli autoveicoli non copre la responsabilità per i danni fisici causati alle persone che viaggiano in una parte dell’autoveicolo che non sia stata né progettata né costruita con sedili per passeggeri e, dall’altro, che tale articolo soddisfaceva tutte le condizioni richieste per produrre un effetto diretto e, di conseguenza, conferiva diritti che i singoli possono invocare direttamente dinanzi ai giudici nazionali. La Corte ha tuttavia ritenuto che spettasse al giudice nazionale verificare se tale disposizione potesse essere invocata nei confronti di un organismo come il MIBI (sentenza del 19 aprile 2007, Farrell, C‑356/05, EU:C:2007:229, punti 36 e 44).
18      Con sentenza del 31 gennaio 2008, la High Court (Alta Corte) ha dichiarato che il MIBI era un’emanazione dello Stato e che, di conseguenza, la sig.ra Farrell aveva diritto di essere indennizzata dal medesimo. 
19      Il MIBI ha proposto ricorso contro tale sentenza dinanzi al giudice del rinvio, ritenendo di non essere un’emanazione dello Stato e che, pertanto, non fossero ad esso opponibili le disposizioni, ancorché dotate di effetto diretto, di una direttiva che non erano state recepite nel diritto nazionale. 
20      In seguito a una transazione intervenuta tra le parti nel procedimento principale, la sig.ra Farrell ha ricevuto un indennizzo per i danni fisici da essa subiti. Tuttavia, il MIBI, da un lato, e il Ministro dell’Ambiente, l’Irlanda e l’Attorney General, dall’altro, dissentono in merito alla questione del soggetto sul quale debba gravare l’onere di tale indennizzo. 
21      Reputando che la risposta a tale questione dipenda dalla questione se il MIBI debba o meno essere considerato un’emanazione dello Stato nei cui confronti possono essere invocate le disposizioni di una direttiva idonee a produrre un effetto diretto, la Supreme Court (Corte Suprema, Irlanda) ha deciso di sospendere il giudizio e di porre alla Corte le seguenti questioni pregiudiziali:
«1)      Se il criterio stabilito nella [sentenza del 12 luglio 1990, Foster e a. (C‑188/89, EU:C:1990:313)], quale formulato al punto 20, per definire il concetto di emanazione di uno Stato membro, debba essere interpretato nel senso che gli elementi che integrano tale criterio devono essere applicati 
a)      cumulativamente o 
b)      in modo tra loro indipendente 
2)      Nella misura in cui i vari aspetti menzionati nella [sentenza del 12 luglio 1990, Foster e a. (C‑188/89, EU:C:1990:313)], possano, in alternativa, essere considerati fattori che devono essere presi in debita considerazione per ottenere una valutazione globale, se esista un principio fondamentale sotteso ai diversi fattori individuati in tale sentenza, il quale dovrebbe essere applicato da un organo giurisdizionale nel valutare se un determinato organismo costituisca un’emanazione dello Stato. 
3)      Se sia sufficiente che un’ampia parte di responsabilità sia stata trasferita da uno Stato membro a un ente allo scopo manifesto di soddisfare obblighi di diritto dell’Unione, affinché il predetto ente sia un’emanazione dello Stato membro, oppure se occorra inoltre che siffatto ente disponga, altresì a) di poteri speciali o b) operi sotto il controllo o la supervisione diretti dello Stato membro». 
 Sulle questioni pregiudiziali
 Sulla prima questione
22      Con la sua prima questione, il giudice del rinvio chiede sostanzialmente se l’articolo 288 TFUE debba essere interpretato nel senso che non esclude che a un ente che non sia dotato di tutte le caratteristiche enunciate al punto 20 della sentenza del 12 luglio 1990, Foster e a. (C‑188/89, EU:C:1990:313) siano opponibili le disposizioni di una direttiva idonee a produrre un effetto diretto. 
23      Ai punti da 3 a 5 di tale sentenza, la Corte ha rilevato che l’organismo di cui trattavasi nel procedimento che ha dato luogo a detta sentenza, ossia la British Gas Corporation, era «una persona giuridica istituita dalla legge», «con il compito di sviluppare e di mantenere, in regime di monopolio, un sistema di distribuzione del gas in Gran Bretagna», che «[i] membri del [suo] organo direttivo erano nominati dal segretario di Stato competente[, il quale] aveva del pari il potere di impartire alla [British Gas] direttive di indole generale, per questioni inerenti all’interesse nazionale, nonché istruzioni relative alla sua gestione», e che la British Gas aveva il diritto di «presentare disegni di legge al parlamento previa autorizzazione del segretario di Stato». 
24      In tale contesto, la Corte ha ricordato, al punto 18 della sentenza in parola, che essa aveva «di volta in volta affermato che disposizioni incondizionate e sufficientemente precise di una direttiva potevano essere invocate dagli amministrati nei confronti di organismi o di enti che erano soggetti all’autorità o al controllo dello Stato o che disponevano di poteri che eccedevano i limiti di quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti fra singoli». 
25      Al punto 20 della medesima sentenza, essa ne ha dedotto che «fa comunque parte degli enti ai quali si possono opporre le norme di una direttiva idonee a produrre effetti diretti un organismo che, indipendentemente dalla sua forma giuridica, sia stato incaricato, con un atto della pubblica autorità, di prestare, su controllo di quest’ultima, un servizio d’interesse pubblico e che dispone a questo scopo di poteri che eccedono i limiti di quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti fra singoli».
26      Come rilevato dall’avvocato generale al paragrafo 50 delle sue conclusioni, la scelta effettuata dalla Corte al punto 20 della sentenza del 12 luglio 1990, Foster e a. (C‑188/89, EU:C:1990:313), di ricorrere ai termini «fa comunque parte [di tali] enti», evidenzia il fatto che essa non ha inteso formulare un criterio generale destinato a ricomprendere tutte le ipotesi in cui le disposizioni di una direttiva idonee a produrre effetti diretti siano opponibili ad un ente, ma che essa ha considerato che un organismo come quello di cui trattasi nel procedimento sfociato in tale sentenza debba, ad ogni modo, essere considerato come tale ove sia in possesso di ciascuna delle caratteristiche elencate nel citato punto 20. 
27      Infatti, detto punto 20 deve essere letto alla luce del punto 18 della medesima sentenza, in cui la Corte ha sottolineato che siffatte disposizioni possono essere invocate da un singolo nei confronti di un organismo o di un ente che sia soggetto all’autorità o al controllo dello Stato, o che disponga di poteri che eccedono i limiti di quelli risultanti dalle norme che si applicano nei rapporti fra singoli. 
28      Pertanto, come sostanzialmente rilevato dall’avvocato generale ai paragrafi 53 e 77 delle sue conclusioni, le condizioni secondo cui l’organismo interessato deve essere soggetto all’autorità o al controllo dello Stato e, rispettivamente, disporre di poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli, non possono avere carattere cumulativo (v., in tal senso, sentenza del 4 dicembre 1997, Kampelmann e a., da C‑253/96 a C‑258/96, EU:C:1997:585, punti 46 e 47, nonché del 7 settembre 2006, Vassallo, C‑180/04, EU:C:2006:518, punto 26).
29      Tenuto conto di quanto precede, occorre rispondere alla prima questione dichiarando che l’articolo 288 TFUE deve essere interpretato nel senso che non esclude, di per sé, che le disposizioni di una direttiva idonee a produrre un effetto diretto siano opponibili a un ente che non sia dotato di tutte le caratteristiche enunciate al punto 20 della sentenza del 12 luglio 1990, Foster e a. (C‑188/89, EU:C:1990:313), lette congiuntamente a quelle indicate al punto 18 della medesima sentenza. 
 Sulle questioni seconda e terza
30      Con le sue questioni seconda e terza, che occorre esaminare congiuntamente, il giudice del rinvio chiede in sostanza se esista un principio fondamentale che dovrebbe guidare il giudice nell’esame della questione se le disposizioni di una direttiva idonee a produrre un effetto diretto siano opponibili a un organismo e, in particolare, se siffatte disposizioni siano opponibili a un organismo cui sia stato demandato da uno Stato membro il compito di cui all’articolo 1, paragrafo 4, della seconda direttiva. 
31      A tal riguardo, va ricordato che, per giurisprudenza costante della Corte, una direttiva non può, di per sé, creare obblighi in capo a un singolo e non può dunque essere invocata in quanto tale nei suoi confronti (sentenze del 26 febbraio 1986, Marshall, 152/84, EU:C:1986:84, punto 48; del 14 luglio 1994, Faccini Dori, C‑91/92, EU:C:1994:292, punto 20; del 5 ottobre 2004, Pfeiffer e a., da C‑397/01 a C‑403/01, EU:C:2004:584, punto 108, nonché del 19 aprile 2016, DI, C‑441/14, EU:C:2016:278, punto 30). Infatti, estendere l’invocabilità delle direttive non recepite all’ambito dei rapporti tra singoli equivarrebbe a riconoscere all’Unione europea il potere di sancire con effetto immediato obblighi a carico di questi ultimi, mentre tale competenza le spetta solo laddove le sia attribuito il potere di adottare regolamenti (sentenza del 14 luglio 1994, Faccini Dori, C‑91/92, EU:C:1994:292, punto 24).
32      Tuttavia, secondo una giurisprudenza altrettanto costante della Corte, gli amministrati, qualora siano in grado di far valere una direttiva non nei confronti di un singolo, bensì di uno Stato, possono farlo indipendentemente dalla veste nella quale questo agisce, come datore di lavoro o come pubblica autorità. In entrambi i casi è opportuno evitare, infatti, che lo Stato possa trarre vantaggio dalla sua inosservanza del diritto dell’Unione (sentenze del 26 febbraio 1986, Marshall, 152/84, EU:C:1986:84, punto 49; del 12 luglio 1990, Foster e a., C‑188/89, EU:C:1990:313, punto 17, nonché del 14 settembre 2000, Collino e Chiappero, C‑343/98, EU:C:2000:441 punto 22). 
33      In base a tali considerazioni, la Corte ha ammesso che disposizioni incondizionate e sufficientemente precise di una direttiva sono invocabili dagli amministrati non soltanto nei confronti di uno Stato membro e di tutti gli organi della sua amministrazione, quali gli enti territoriali (v., in tal senso, sentenza del 22 giugno 1989, Costanzo, 103/88, EU:C:1989:256, punto 31), ma anche, come ricordato nell’ambito della risposta alla prima questione, nei confronti di organismi o enti soggetti all’autorità o al controllo dello Stato o che dispongono di poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli (sentenze del 12 luglio 1990, Foster e a., C‑188/89, EU:C:1990:313, punto 18, nonché del 4 dicembre 1997, Kampelmann e a., da C‑253/96 a C‑258/96, EU:C:1997:585, punto 46).
34      Siffatti organismi o enti si distinguono dai singoli e devono essere equiparati allo Stato, vuoi perché sono persone giuridiche di diritto pubblico facenti parte dello Stato in senso ampio, vuoi perché sono soggetti all’autorità o al controllo di una pubblica autorità, vuoi perché sono stati incaricati da una tale autorità di svolgere un compito di interesse pubblico e sono stati a tal fine dotati di poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli. 
35      Pertanto, le disposizioni di una direttiva dotate di effetto diretto sono opponibili a un ente o a un organismo, anche se di diritto privato, cui sia stato demandato da uno Stato membro l’assolvimento di un compito di interesse pubblico e che dispone a tal fine di poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli. 
36      Nella specie, va rilevato che, a norma dell’articolo 3, paragrafo 1, della prima direttiva, gli Stati membri erano tenuti ad adottare tutte le misure utili affinché la responsabilità civile relativa alla circolazione dei veicoli abitualmente stazionanti nel loro territorio fosse coperta da un’assicurazione. 
37      L’importanza riconosciuta dal legislatore dell’Unione alla tutela delle vittime lo ha indotto a completare detto dispositivo obbligando gli Stati membri, in applicazione dell’articolo 1, paragrafo 4, della seconda direttiva, ad istituire un organismo avente il compito di risarcire, almeno entro i limiti previsti dal diritto dell’Unione, i danni alle cose o alle persone causati da un veicolo non identificato o per il quale non sia stato adempiuto l’obbligo di assicurazione di cui all’articolo 1, paragrafo 1, della stessa direttiva, che rinvia all’articolo 3, paragrafo 1, della prima direttiva (sentenza dell’11 luglio 2013, Csonka e a., C‑409/11, EU:C:2013:512, punto 29).
38      Di conseguenza, il compito che un organismo d’indennizzo come il MIBI è incaricato dallo Stato membro di assolvere e che contribuisce all’obiettivo generale di tutela delle vittime perseguito dalla normativa dell’Unione in materia di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile per gli autoveicoli, deve essere considerato un compito di interesse pubblico inerente, nella specie, all’obbligo imposto agli Stati membri dall’articolo 1, paragrafo 4, della seconda direttiva.
39      In proposito va ricordato che, per quanto riguarda l’ipotesi di danni alle cose o alle persone causati da un veicolo per il quale non sia stato adempiuto l’obbligo di assicurazione di cui all’articolo 3, paragrafo 1, della prima direttiva, la Corte ha statuito che l’intervento di detto organismo è destinato a colmare l’inadempienza dello Stato membro rispetto al suo obbligo di provvedere affinché la responsabilità civile relativa alla circolazione dei veicoli stazionanti abitualmente nel suo territorio sia coperta da un’assicurazione (v., in tal senso, sentenza dell’11 luglio 2013, Csonka e a., C‑409/11, EU:C:2013:512, punto 31).
40      Per quanto riguarda il MIBI, va aggiunto che, in forza dell’articolo 78 della legge del 1961, il legislatore irlandese ha reso obbligatoria l’affiliazione a tale organismo per tutti gli assicuratori che svolgono un’attività di assicurazione automobilistica in Irlanda. Così facendo, esso ha conferito al MIBI poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli, in quanto, in base a detta disposizione legislativa, tale organismo privato è in grado di imporre a tutti gli assicuratori di affiliarsi ad esso e di finanziare l’assolvimento del compito demandatogli dallo Stato irlandese.
41      Le disposizioni incondizionate e sufficientemente precise di una direttiva possono conseguentemente essere invocate nei confronti di un organismo quale il MIBI. 
42      Tenuto conto delle considerazioni che precedono, occorre rispondere alle questioni seconda e terza dichiarando che le disposizioni di una direttiva idonee a produrre un effetto diretto sono opponibili a un organismo di diritto privato cui sia stato demandato da uno Stato membro un compito di interesse pubblico, come quello inerente all’obbligo imposto agli Stati membri dall’articolo 1, paragrafo 4, della seconda direttiva e che, a tal fine, disponga per legge di poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli, come il potere di imporre agli assicuratori che svolgono un’attività di assicurazione automobilistica nel territorio dello Stato membro interessato di affiliarsi a tale organismo e di finanziarlo. 
 Sulle spese
43      Nei confronti delle parti nel procedimento principale la presente causa costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.
Per questi motivi, la Corte (Grande Sezione) dichiara:
1)      L’articolo 288 TFUE deve essere interpretato nel senso che non esclude, di per sé, che le disposizioni di una direttiva idonee a produrre un effetto diretto siano opponibili a un ente che non sia dotato di tutte le caratteristiche enunciate al punto 20 della sentenza del 12 luglio 1990, Foster e a. (C188/89, EU:C:1990:313), lette congiuntamente a quelle indicate al punto 18 della medesima sentenza.
2)      Le disposizioni di una direttiva idonee a produrre un effetto diretto sono opponibili a un organismo di diritto privato cui sia stato demandato da uno Stato membro un compito di interesse pubblico, come quello inerente all’obbligo imposto agli Stati membri dall’articolo 1, paragrafo 4, della seconda direttiva 84/5/CEE del Consiglio, del 30 dicembre 1983, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli, come modificata dalla terza direttiva 90/232/CEE del Consiglio, del 14 maggio 1990, e che, a tal fine, disponga per legge di poteri che eccedono quelli risultanti dalle norme applicabili nei rapporti fra singoli, come il potere di imporre agli assicuratori che svolgono un’attività di assicurazione automobilistica nel territorio dello Stato membro interessato di affiliarsi a tale organismo e di finanziarlo. 
Firme

*      Lingua processuale: l’inglese.