domenica 15 settembre 2024

ELEZIONI DEL PARLAMENTO EUROPEO (E CONSEGUENTE NUOVA COMMISSIONE) NELLA PROSPETTIVA DEL FUTURO DELL’UNIONE EUROPEA

di Massimo Fragola già docente di Diritto dell’Unione europea nella Università della Calabria, Presidente del Seminario                            Permanente di Studi Internazionali (SSIP).

Saggio in via di pubblicazione nella Rivista online di Diritto Pubblico Europeo (RDPE) n. 2/2024

Sommario: 1. Premessa. – 2. Note sulle future relazioni «politiche» interistituzionali tra Commissione e Consiglio europeo. – 3. Sulla rielezione/nomina del presidente della Commissione europea. – 4. Segue. L’intricata procedura di nomina del presidente dell’esecutivo eurounionale e dell’intera Commissione. La procedura dello spitzenkandidat. Una conclusione aperta al futuro. 

1.Nel ringraziare preliminarmente i Direttori della Rivista per avermi invitato, mi preme sottolineare che cercherò di essere il più rispettoso possibile del tema affidatomi e, quindi, svolgerò le mie riflessioni rimanendo nell’alveo del tema assegnatomi; ciò comporterà una inevitabile sinteticità in alcuni passaggi ricostruttivi, dovendo dare per conosciuti una serie di aspetti. 

Il processo di costituzionalizzazione comunitario (o «eurounitario»), si presenta, a noi studiosi della materia (e non soltanto a noi «comunitaristi»), come uno straordinario laboratorio per ripensare il nostro linguaggio e, più in generale, i concetti costituzionali, quali, per esempio, sovranità, rappresentanza, cittadinanza e quindi revisione.

Da anni ormai, e da più parti, si sollecitano modifiche sostanziali della organizzazione istituzionale dell’Unione europea (UE) e dei suoi obiettivi, sostenendo a giustificazione della prospettiva prescelta, che l’unica chance per il futuro dell’Unione sia la radicale riforma dei trattati, per di più, secondo autorevole dottrina, in una prospettiva fortemente federalista[1].

Indubbiamente si tratta di suggestioni condivisibili, sebbene, sia lo strumento della revisione attualmente in vigore, sia la concretizzazione dell’idea di «Stati Uniti d’Europa»[2] - entrambi intimamente collegati – appaiano, al momento, obiettivi difficili da perseguire per varie motivazioni giuridiche e (soprattutto) politiche[3], che cercheremo di analizzare ancorché in modo incompleto e non definitivo.

In primo luogo, vale la pena ricordare la procedura «istituzionale»[4] di riforma dei trattati ex art. 48 TUE.

Com’è noto, i trattati possono essere modificati nel rispetto di una procedura di revisione «ordinaria», ovvero, conformemente a procedure di revisione «semplificate» (par. 1), queste ultime, tuttavia, destinate a modificare le disposizioni esclusivamente della Parte Terza del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) relativa alle politiche e alle azioni interne dell’Unione[5].

Predominante, appare, la componente intergovernativa dell’intera procedura di riforma [governi nazionali, Consiglio europeo, Consiglio dell’Unione europea (o «Consiglio» tout court), maggioranze parlamentari che sostengono i governi nazionali], con conseguente e intollerabile «deficit democratico» della stessa, così da ipotizzare a tutt’oggi, sul piano politico, non poche problematiche nel conseguimento della necessaria «posizione comune» al fine della riforma[6]. Problematiche (o tematiche a seconda dell’ottica prescelta) che potrebbero amplificarsi laddove la maggioranza politica scaturita dalle elezioni del Parlamento europeo dell’8 e 9 giugno 2024 – e non mi riferisco ad una maggioranza «numerica» bensì ad una maggioranza ampia, sostanziale, che dia la possibilità al Parlamento europeo di co-legiferare – dovesse essere in disaccordo (o in accordo) con la maggioranza dei governi nazionali. 

In ogni caso, dalle elezioni parlamentari europee del 2024, è possibile evidenziare, per la prima volta a quanto consta, un sensibile spostamento della maggioranza politica verso gruppi storicamente all’opposizione, positivo o negativo a seconda della lettura che ciascuno vorrà dare, il che ci fa riflettere su due prospettive possibili: a) uno svogliato cammino verso la «creazione di una Unione sempre più stretta fra i popoli dell’Europa, in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini» (Preambolo TUE), ovvero, b) nella peggiore delle ipotesi una impasse – un arretramento – del processo di integrazione europea, giacché, come taluni sostengono, l’«Unione» debba fare poche cose e meglio.

Altro che processo di «costituzionalizzazione» dei trattati dell’Unione europea che aspiri a una propria costituzione e a una propria sovranità, pur sempre, nel riguardo delle diversità nazionali[7].

Ci troviamo, pertanto, a vivere, nel momento in cui scriviamo, un turning point significativo dell’integrazione europea, per le istituzioni UE, per i governi nazionali e per i cittadini.

Ferma restando la convinzione che una Unione europea sempre più coesa non soltanto su economia e mercato, bensì su temi di rilevanza globale come il cambiamento climatico e l’ambiente, l’energia, la salute, la trasformazione digitale, le migrazioni, i giovani, la politica estera e di difesa, le politiche comuni fiscali e di bilancio – per non tralasciare la democrazia, lo stato di diritto e valori comuni – appare indispensabile e necessaria per (cercare di) mantenere una pace stabile nel continente e per fronteggiare le crescenti sfide, internazionali e geopolitiche che ci attendono[8].

Ma cosa limita le decisioni istituzionali UE in questi settori nei quali l’Unione potrebbe svolgere un ruolo internazionale di tutto rilievo?

 

2. Non sfugge, pertanto, che l’Unione europea sta attraversando un lungo periodo di involuzione rispetto alle esigenze dei cittadini e del contesto geopolitico che viviamo. 

Ciò sarebbe imputabile, semplificando, essenzialmente a tre fattori: in primo luogo, le attuali fonti primarie del diritto UE – Trattato sull’Unione europea (TUE), Trattato sul funzionamento (TFUE) e, in quanto norma primaria giacché «ha lo stesso valore giuridico dei trattati» (art. 6, par. 1 TUE) la Carta dei diritti fondamentali UE. 

Da siffatta architettura «costituzionale» ne scaturisce l’intollerabile «signoria» dei governi nazionali – in particolare con riguardo al Consiglio europeo e al Consiglio – che emerge dominante rispetto alle altre istituzioni propriamente europee [mi riferisco al Parlamento europeo (voce dei cittadini) e alla Commissione (interesse comune)] soprattutto, ma non soltanto, dopo la riforma di Lisbona applicabile dal 2009 che si presentava come una versione minor della «Costituzione» dell’Unione europea. 

Com’è noto, progetto «costituzionale» mai entrato in vigore[9].

Il c.d. «metodo comunitario» che tanto ha assicurato all’integrazione europea in termini di democraticità e di bilanciamento degli interessi sul tavolo negoziale (Commissione, Parlamento europeo, Consiglio), appare oggi a dir poco «congelato» (se non «messo in soffitta») per fare spazio, a trattati invariati, al metodo intergovernativo amministrato, come si rilevava, dalle istituzioni rappresentative dei governi nazionali[10]. Rendendo pressoché vani gli sforzi di ingegneria istituzionale dei Fondatori delle (allora) Comunità europee (e del citato «metodo comunitario») di distinguersi dalle organizzazioni internazionali «classiche», per delineare un «ente» diversamente sopranazionale nel quale la soggettività sia estesa non solo agli Stati membri ma anche ai cittadini[11].

I governi nazionali, infatti, oggi più che mai, sono, non soltanto «herren der verträge» (i «padroni» dei trattati) ma anche i «signori» del diritto unionale derivato, stante la molteplicità di politiche da essi ritenute «sensibili» nelle quali vige strutturalmente il voto all’unanimità[12], in particolare, in sede di Consiglio in quanto legislatore (rectius«co-legislatore»). 

Per non parlare delle cc.dd. «minoranze di blocco» che non facilitano, talvolta, nemmeno il raggiungimento della maggioranza qualificata nella procedura legislativa ordinaria (!), a causa delle evidenti diversità politiche in seno ai governi nazionali e delle ventisette eterogenee visioni dell’integrazione europea.

 

In secondo luogo, occorre segnalare la perdurante e costante propaganda negativa e contraria all’Unione (quasi come una «valvola di sfogo» della politica) che è propagandata da partiti politici nazionali, sostanzialmente (ma non solo) populisti, nazionalisti o comunque contrari (o poco sensibili) all’integrazione europea, nonché, sorprendentemente (ma non troppo), dagli stessi governi nazionali[13], con un atteggiamento dubbio, ambiguo – «bifronte»  nei confronti dei cittadini, ovvero, per meglio dire, del proprio elettorato[14].

Dal che, a causa della non conoscenza delle questioni unionali, fermenta sempre più un sentimento antieuropeo del quale non se ne conoscono i motivi che nulla di buono lascia presagire; come se la causa di tutti i nostri mali fosse (soltanto) l’Unione europea[15].

Questa è la questione «interna» agli Stati membri e nell’Unione[16].

D’altro canto, va detto, non è dato riscontrare la necessaria e doverosa promozione, in particolare, da parte della Commissione europea, degli aspetti positivi del processo e delle eccellenze eurounitarie, così come, a maggior ragione, sarebbe più consono che la stessa Commissione svolgesse una funzione più «europea», comunitaria e, talvolta, meno burocratica[17].

A ciò si aggiungano le interferenze «esterne» di chi non gradisce una Unione europea forte sul piano geopolitico-internazionale e sovrana sul piano interno[18]. Ne parleremo a breve.

Il combinato dei due atteggiamenti determina un generalizzato ed equivoco comportamento soprattutto dei governi degli Stati membri[19], che, ove non ben contrastato, si riverbera e si riverbererà, necessariamente, sia sulle scelte nazionali, sia nella valutazione degli interessi nazionali nella definizione delle politiche comuni eurounionali.

Sempre semplificando, l’ultimo dei tre fattori ipotizzati, atterrebbe alla soggezione (mi si consenta il sostantivo) dell’Unione europea a taluni soggetti, stakeholders e/o organizzazioni internazionali regionali, che non permette all’Unione europea di emanciparsi, nel senso (per quello che qui interessa) di proprie politiche fiscali, politica estera e di difesa comune (in ordine ad una vera politica estera diplomatica), ovvero, sul piano militare preventivo, come preconizzato dalla vetusta Comunità europea di Difesa (CED)[20].

Vero è che l’Unione europea sempre più allargata e politica, non piace alle grandi potenze (necessariamente) concorrenti (USA, Cina, Russia, Giappone, India a tacer d’altro) che tendono in tutti i modi, espliciti o impliciti, direttamente o indirettamente, a minimizzare (o a contrastare) il fenomeno eurounionale e la sua generale espansione[21].

Come dire: divide et impera.

Stando così il quadro generale – almeno secondo la nostra prospettiva – la gran parte degli analisti e dei commentatori più attenti delle questioni europee, insistono e sollecitano la generale riforma dei trattati come l’unica possibilità di futuro sviluppo dell’Unione[22]. Il che, come già si è accennato, è da condividere, fintantoché rimanga la schiacciante prevalenza del metodo intergovernativo sul metodo «comunitario» e quindi, l’insopportabile voto all’unanimità nel Consiglio ancora in tante materie[23].

Per questo motivo, attese le presumibili difficoltà di riformare i trattati, ci si attende una giurisprudenza «chiarificatrice»della Corte di giustizia – in passato vero «motore» dell’integrazione europea – che, ove adita e a trattati invariati, possa rimettere al centro del sistema il Parlamento europeo e la stessa Commissione, quest’ultima, negli ultimi anni, un po’ troppo timida e asservita ai desiderata del Consiglio europeo. Soprattutto in ordine alla procedura legislativa[24] da adottare, cioè a dire, per meglio chiarire, alla scelta della corretta base giuridica vero baluardo dell’esercizio delle competenze di attribuzione dell’Unione[25].

Non v’è dubbio che la caldeggiata modifica dei trattati possa realizzarsi, anche in tempi brevi, soprattutto ove si consideri l’attuale composizione numerico/politica del sistema istituzionale UE. Anche in considerazione dei già annunciati prossimi allargamenti ad est che potrebbero portare la membership dell’Unione a 35 Stati e forse più[26].

Tuttavia, poiché la revisione dei trattati ex art. 48 TUE è una procedura complessa e ha i suoi tempi, altri guardano al futuro dell’integrazione europea con scetticismo e pessimismo proprio con riguardo alle difficoltà «politiche» di revisionare i trattati. 

A tutt’oggi, non mi sembra manifesta quella volontà politica, quella visione comune che i governi degli Stati membri hanno dimostrato in passato, pur tra tante difficoltà, nelle cinque procedure di revisione adottate[27], che possa portare ad una revisione in melius dei trattati in senso, se non federalista o confederalista, quanto meno con un’accentuata visione sopranazionale dell’Unione. 

Il che, considerati i tempi, non sarebbe una prospettiva inaccettabile atteso il contesto politico non favorevole.

Occorre sottolineare che se nelle precedenti revisioni si è (quasi) sempre progrediti verso un’integrazione «sempre più stretta tra i cittadini» – Maastricht ne è un esempio straordinario – oggi il novellato art. 48 TUE (post Lisbona) prevede, par. 1, che i progetti di revisione potranno essere «intesi non soltanto ad accrescere, ma anche, a ridurre le competenze attribuite all’Unione nei trattati»

Questo è il lascito (oltre a tanto altro) di Lisbona 2007, durante la cui conferenza intergovernativa già si respirava un’aria pesante, greve, come dire poco comunitaria.

Tant’è che già dopo qualche anno dall’entrata in vigore del Trattato di Lisbona[28] taluni evidenziavano che i nuovi trattati non rispondevano (e non avrebbero risposto) compiutamente alle esigenze di un quadro europeo in drastico e veloce cambiamento politico, economico e sociale, peraltro, guardando ai nostri giorni, in un contesto mondiale, per usare un eufemismo, in assoluta ebollizione e, da ultimo, con due guerre a pochi chilometri dai confini dell’Unione. 

Nel quadro testé evidenziato a mò di necessaria premessa, le presenti riflessioni intendono unicamente valutare le possibili conseguenze delle ultime elezioni del Parlamento europeo, la successiva nuova Commissione che da queste elezioni si va ad ordinare e, ovviamente, il neo-eletto presidente della Commissione, considerando, anche se in modo audace e opinabile, queste modificazioni all’interno del «triangolo» istituzionale legislativo UE – quanto meno dal punto di vista politico – come una sorta di «piccola revisione», a trattati invariati, sebbene, e questo va sottolineato, la componente intergovernativa (Consiglio europeo e Consiglio[29]) permarrebbe in ogni caso la medesima e prevalente. 

Ciò posto, nondimeno, dalle urne dell’8 e 9 giugno 2024 non sono emerse indicazioni sufficientemente nuove, di discontinuità con il passato, il che, in linea teorica, dovrebbe mantenere gli equilibri interistituzionali dell’Unione nel prossimo quinquennio. Sebbene, dalle urne sia scaturita, a ben analizzare, una volontà popolare europea leggermente in discontinuità con il passato, benché minimale, che dovrà essere tenuta in debito conto nelle scelte generali delle politiche comuni da realizzare in un periodo storico di grandi cambiamenti.

 

3. Un esame delle «nuove» istituzioni andrebbe approfondito con maggiore profondità. 

Ci limitiamo ad alcune considerazioni.

Partirei dal presidente della Commissione europea e dalla conseguente Commissione, giacché l’interesse europeo – «comune» se si preferisce – ruota attorno a questa istituzione e, in particolare, al suo presidente che ne dovrebbe rappresentare l’anima, lo spirito e la visione comunitaria delle proprie scelte nei confronti dei capi di Stato o di governo e delle altre istituzioni.

Da un recente studio del gruppo di lavoro («Europe for Future») del Seminario Permanente di Studi Internazionali (SSIP)[30] si evince che, quantomeno ab initio, la contestata ricandidatura della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen non è un’anomalia, una novità, né dal punto di vista giuridico, né dalla prassi, piuttosto, potrebbe costituire una preoccupazione dal punto di vista politico[31]. Nel senso che, come si vedrà, la sua presidenza 2024-2029 è costruita su di una maggioranza fluttuante, non coesa, che in qualsiasi momento della legislatura potrebbe sfaldarsi. Considerando, altresì, un’opposizione parlamentare europea sempre più compatta ed agguerrita.

Nella complessa e articolata procedura di nomina del presidente dell’esecutivo eurounionale, infatti, la «riconferma» di un presidente per un secondo mandato (e anche più) non è un fatto nuovo, ove si considerino i casi di Hallstein, Delors (3) e Barroso. 

Dalla nascita della Comunità economica europea (CEE) i presidenti sono stati 14: 3 presidenti del Lussemburgo (Thorn, Santer, Juncker), 2 tedeschi (Hallstein e von der Leyen), 2 francesi (Ortoli e Delors), 2 italiani (Malfatti e Prodi), 1 del Regno Unito (Jenkins), 1 del Belgio (Rey), 1 dei Paesi Bassi (Mansholt), 1 della Spagna (Marìn), 1 del Portogallo (Barroso)[32].

Se da un lato i Trattati TUE e TFUE, nonché la prassi, non impediscono la riconferma dell’attuale presidente, dall’altro, tuttavia, c’è da considerare che la nomina/elezione[33] del presidente della Commissione europea è naturalmente collegata, a mio avviso, ai risultati delle elezioni del Parlamento europeo e delle maggioranze che ne scaturiscono. 

Come principio democratico del sistema. 

Tesi corroborata, peraltro, dal legame istituzionale (e soprattutto politico) che unisce la Commissione con il Parlamento europeo.

Così che si è giunti ad una nuova e rinnovata «maggioranza Ursula»[34] che tuttavia appare sostanzialmente diversa dalla precedente[35].

Se è vero, infatti, che l’art. 17, par. 3 TUE – che va ricordato è inserito nel Titolo III rubricato «Disposizioni relative alle istituzioni» – sancisce in modo ellittico che «il mandato della Commissione è di cinque anni» senza null’altro aggiungere, è vero parimenti che esistono alcuni vincoli che non possono essere tralasciati. Più in generale, la persona candidata ed elegibile deve trattarsi di «un cittadino di uno Stato membro UE» scelto in base alla sua competenza generale, al suo impegno europeo e, ancora, «tra personalità che offrono tutte le garanzie di indipendenza».

Di regola, fino ad oggi, si è trattato di politici di provenienza da esperienze politiche nazionali[36]. Di regola. Perché, in futuro, non potrebbe escludersi una personalità di caratura europea non proveniente dalla politica, bensì, dal mondo della cultura, della scienza, dell’esperienza comunitaria.

Inoltre, ancorché il par. 5 dell’art. 17 TUE non sia più applicabile, così come il collegato art. 244 TFUE[37], non va esclusa la norma (voluta fortemente dai governi nazionali durante la conferenza di Lisbona) che sancisce in modo equanime e condivisibile, la scelta dei membri della Commissione, e quindi anche a maggior ragione del presidente, tenendo in debito conto la differenziazione demografica e geografica degli Stati membri. 

Si direbbe una presidenza turnaria «paritetica» (un «sistema di rotazione paritaria tra gli Stati membri che consenta di riflettere la molteplicità demografica e geografica degli Stati membri» ai sensi del par. 5, seconda frase, art. 17 TUE e art. 244 TFUE). 

Questo è un primo dato che dovrà essere tenuto in debito conto anche in futuro.

La scelta del presidente della Commissione europea, ad adiuvandum, è oggi ancora più importante nel contesto geopolitico che viviamo in Europa e nel mondo, laddove si consideri che il presidente «definisce gli orientamenti generali delle politiche eurounionali»; nomina i quattro vicepresidenti, fatta eccezione per l’Alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza con il quale condivide, tuttavia, le specifiche competenze in materia di affari esteri e politica di sicurezza.

Nel rispetto della dialettica istituzionale così come l’abbiamo constatata negli anni ‘90 e così come prevista (almeno sulla carta) dall’ultima riforma di Lisbona, nonché nel rispetto della «leale cooperazione» ai sensi dell’art. 4, par. 3 TUE, il presidente della Commissione dovrà relazionarsi face à face con il presidente del Parlamento europeo e, soprattutto, primus inter pares(?)[38], con il presidente del Consiglio europeo (e del Consiglio «di turno» dell’Unione[39]) e, ove necessario, con i singoli capi di Stato o di governo degli Stati membri. 

Con la stessa personalità, autorità e sostegno politico.

Quanto al rispetto del principio «costituzionale» di leale cooperazione, va sottolineato che l’«Unione» e gli Stati membri dovrebbero cooperare correttamente («si rispettano e si assistono reciprocamente») nell’adempimento degli uffici derivanti dai trattati, laddove per «Unione» è da intendere le istituzioni eurounionali (in particolare Commissione, Consiglio e Parlamento europeo[40]), le quali, a loro volta, anch’esse devono cooperare lealmente nel rispetto dei trattati.

Se ne ricava che, se da un lato i governi nazionali devono agevolare l’Unione nell’adempimento delle sue funzioni eurounionali, dall’altro, i governi nazionali dovrebbero astenersi da qualsiasi misura che rischi di mettere in pericolo la realizzazione degli obiettivi comuni[41].

Ciò che negli ultimi tempi, in verità, non si sta verificando.

 

4.L’altro dato che va sottolineato è l’aspetto politico della nomina/elezione del presidente della Commissione europea che può essere ricondotto alla «teoria» tedesca dello spitzenkandidat o «candidato di punta» o «capolista» di un gruppo politico europeo[42]. Questi ultimi, con il Consiglio europeo, sin dal 2014 sono stati sollecitati a concordare un candidato presidente della Commissione europea che scaturisca (o rappresenti) dalla maggioranza ottenuta nelle elezioni parlamentari europee.

Occorre considerare, pertanto, dal punto di vista giuridico, una serie di atti (politici) che rilevano nella questione.

Si consideri a tal riguardo, la Dichiarazione n. 11 allegata al Trattato di Lisbona, relativa all’articolo 17, paragrafi 6 e 7 TUE, che suggerisce che il Parlamento europeo e il Consiglio europeo siano congiuntamente responsabili del buon svolgimento del procedimento che porta all’elezione del presidente della Commissione europea e che tra  i rappresentanti del Parlamento europeo e del Consiglio europeo, si svolgano «schiette» consultazioni sul profilo dei candidati alla carica di presidente della Commissione, tenendo conto delle elezioni del Parlamento europeo.

Il Parlamento europeo, d’altro canto, ha approvato un serie di risoluzioni nelle quali ha ribadito la sua determinazione a dare seguito al processo degli spitzenkandidaten per l’elezione del presidente della Commissione e sottolineato che avrebbe respinto qualsiasi candidato che non fosse stato nominato come spitzenkandidat nel periodo precedente alle elezioni del Parlamento europeo[43]

In proposito, la Conferenza dei presidenti del Parlamento europeo, riunitasi il 28 maggio 2019, richiamando le citate risoluzioni del Parlamento europeo, ha riconfermato la determinazione per il processo dei candidati principali, che prevede che il prossimo presidente della Commissione abbia già reso noto il suo programma prima delle elezioni e si sia impegnato in una campagna su scala europea. 

Il che mi sembra una contraddizione con l’applicazione della pratica dello spitzenkandidat che, come accennato, si applicherebbe tenendo conto dei risultati delle votazioni europee, quindi successivamente e non prima.

Tuttavia, le variegate concezioni dell’integrazione europea all’interno del quadro istituzionale Ue sono palesemente contrapposte – per non parlare dei governi degli Stati membri – se si considera che nella riunione informale del Consiglio europeo del 23 febbraio 2018, i Capi di Stato o di governo dell’Unione hanno dichiarato, in evidente dissenso con il Parlamento europeo, che non si sarebbero attenuti alla procedura degli spitzenkandidaten nella individuazione del nuovo presidente della Commissione. 

Il Consiglio europeo ha quindi ribadito la sua posizione, già espressa a febbraio 2018, nel senso di non riconoscere alcun automatismo tra l’indicazione dei candidati principali e la nomina del presidente della Commissione, ricordando che, secondo i trattati, il candidato a tale carica dovrà avere sia la maggioranza qualificata in seno al Consiglio sia la maggioranza assoluta in Parlamento. Se il candidato non dovesse ottenere la maggioranza prescritta dei voti del Parlamento europeo, il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata «rafforzata»[44]propone entro un mese un nuovo candidato, che è eletto dal Parlamento europeo secondo la stessa procedura. 

Insomma, schermaglie vere e proprie tra il Parlamento europeo (organo di individui eletto dai cittadini) e il Consiglio europeo (organo «di Stati» rappresentati al più alto livello politico-diplomatico).

Sicuramente le votazioni del Parlamento europeo dello scorso giugno 2024, come detto, hanno avuto una valenza politica particolare rispetto alle elezioni precedenti[45].

Ma allora, posto che per la nomina/elezione del presidente e della Commissione europea il sistema previsto dai trattati stabilisce una procedura complessa e intricata, viene spontaneo chiedersi, trattandosi di una istituzione che rappresenta la voce dei cittadini nel c.d. «triangolo istituzionale» legislativo: che peso hanno questi ultimi, ancorché indirettamente, nella nomina del presidente e della nuova Commissione?

A sostegno delle perplessità appena segnalate, l’art. 17, par. 7 TUE sancisce: «tenuto conto delle elezioni del Parlamento europeo e dopo aver effettuato le consultazioni appropriate, il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata, propone al Parlamento europeo un candidato alla carica di presidente della Commissione. Tale candidato è eletto dal Parlamento europeo a maggioranza dei membri che lo compongono. Se il candidato non ottiene la maggioranza, il Consiglio europeo, deliberando a maggioranza qualificata, propone entro un mese un nuovo candidato, che è eletto nuovamente dal Parlamento europeo secondo la stessa procedura. Il presidente, l’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e gli altri membri della Commissione sono soggetti, collettivamente, ad un voto di approvazione del Parlamento europeo[46].

In seguito a tale approvazione (voto di fiducia?) la Commissione è nominata dal Consiglio europeo, che delibera a maggioranza qualificata»[47].

Anche in questa procedura così eterogenea e in (poca) parte democratica, traspare la sfiducia dei redattori del Trattato di Lisbona, giacché preferirono affidare l’ultima decisione al Consiglio europeo e non già all’Assemblea eletta dai cittadini. 

Ma ciò, in verità, e per onor del vero, accadeva anche prima dell’entrata in vigore del Trattato di Lisbona.

Il Consiglio europeo, quindi, «propone» e il Parlamento europeo (non dispone!) meramente «approva» il candidato, per di più in modo transitorio in quanto la sua approvazione non è esecutiva, giacché sottoposta all’ulteriore definitivo passaggio decisionale del Consiglio europeo[48]. Tutt’al più, sarebbe stato più esaudiente e democraticamente corretto l’opposto: il Consiglio europeo propone e il Parlamento democraticamente eletto, in ultima battuta, attribuisce la fiducia al futuro esecutivo eurounionale. 

Tuttavia, a contemperare (in parte) gli interessi del Parlamento europeo (e dei cittadini europei), ai sensi dell’art. 17, par. 8 TUE, è da sottolineare il rapporto di affidamento (politica) tra la Commissione europea e il Parlamento europeo. La Commissione, com’è noto, è responsabile collettivamente dinanzi al Parlamento europeo, una sorta di assicurazione politica (e di controllo) del Parlamento sull’«esecutivo» eurounionale

Dal che, il Parlamento europeo può votare una mozione di censura (sfiducia?) della Commissione secondo le modalità di cui all’articolo 234 TFUE[49]. Se tale mozione è adottata, i membri della Commissione si dimettono collettivamente dalle loro funzioni e l’alto rappresentante dell’Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza si dimette da vicepresidente della Commissione[50].

4.In applicazione del metodo dello spitzenkandidat, rilevanti sono state le consultazioni della presidente della Commissione europea per il conseguimento di una nuova «maggioranza Ursula», vale a dire, un «campo largo» per usare un’espressione alla moda oggi in Italia, che invero ha funzionato nel 2019, e che ha visto una sorta di riedizione dell’inedita alleanza del 2019[51]. Stavolta sono stati i Verdi ad appoggiare Popolari, Liberali e Renew[52].

Tuttavia, nelle ultime elezioni 2024 ci sono state delle novità, non solo nei risultati delle votazioni, bensì anche sul piano matematico; novità di rilievo che vanno in questa sede quanto meno citate. 

Fino alle elezioni di giugno 2024 il Parlamento europeo constava di 705 deputati. Nella odierna Assemblea sono eletti 15 deputati in più portando i seggi totali del Parlamento europeo a 720 per la legislatura 2024-2029[53].

Occorre ricordare che, dopo Lisbona, l’art. 14 TUE sancisce, par. 2., che il numero dei deputati non può essere superiore a settecentocinquanta, più il presidente. La rappresentanza dei cittadini è garantita in modo «degressivamente»[54] proporzionale, con una soglia minima di sei membri per Stato membro e una soglia massima di novantasei seggi[55].

In questa occasione Consiglio europeo e Parlamento hanno trovato una posizione comune[56].  

A sollecitare il dibattito interistituzionale è stata la relazione del Parlamento europeo del 15 giugno 2023[57], che il Consiglio europeo ha usato come base per la sua proposta di modifica del numero dei deputati[58]. Essa di fonda essenzialmente sui cambiamenti demografici nell’Unione europea rispetto alle elezioni del 2019 con riguardo del principio della «proporzionalità degressiva»

Il che, invero, non esclude una previa manovra espressamente pensata in relazione al conteggio dei voti espressi dai cittadini europei (una maggioranza più complessa da delinearsi)[59].

Tuttavia, la storia delle elezioni europee, del presidente e della Commissione ci insegnano che nulla è deciso prima della decisione finale, stante il voto segreto in aula e le audizioni parlamentari dei candidati al ruolo di Commissario UE. Va ricordato, infatti, che la designazione del Commissario da parte dei governi degli Stati membri non è esecutiva fino a che il Parlamento europeo non approva la candidatura durante specifiche e dettagliate audizioni[60].

La chiave di volta per la costituzione della futura Commissione come ipotizzata dalla presidente eletta non sarà cosa semplice[61]. Da un lato, la scelta di circoscrivere la coalizione ai soli gruppi europeisti più omogenei, dall’altro, estenderla a membri meno europeisti ma con i quali un dialogo è comunque possibile e che possano essere interessati alla gestione dei dossier europei. E in questo l’Italia ha un grosso e motivato interesse[62].

In ogni caso solo il tempo potrà dirci se si è trattato di scelte europee (sic!) oppure di mero interesse politico nazionale.

Ovviamente, in conclusione, pur non trattandosi di una mini- riforma, è possibile affermare che da queste ultime elezioni il futuro dell’integrazione europea appare alquanto enigmatico, più oscuro del passato: fermo restando il Consiglio europeo al di fuori e al di sopra del triangolo istituzionale legislativo (un Capo di governo «collegiale»?), il legislatore eurounionale – che semplifico nella Commissione europea (diritto di proposta), nel Parlamento e Consiglio come organi deliberativi – dovrà destreggiarsi tra visioni opposte e talvolta antitetiche dell’integrazione europea. 

La confermata Ursula von der Leyen (Ppe – popolari) alla guida della Commissione europea, il portoghese Antonio Costa (Pse – socialisti) nuovo presidente del Consiglio europeo e la Lituana Kaja Kallas (Renew – liberali) Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza UE, saranno in grado di risolvere le questioni interne e traghettare l’Unione europea nella contesa geopolitica internazionale? 

Le uniche ipotesi che possono essere timidamente immaginate, stante il contesto politico attuale, possono essere così sintetizzate: a) lo stallo o l’arretramento delle politiche più sensibili per i governi nazionali (ad esempio l’immigrazione), ovvero, a trattati invariati, b) la sublimazione del mercato, dell’economia, dell’energia e della tecnologia, con il risultato della rinuncia alla realizzazione di una Unione europea sempre più integrata e vicina ai cittadini con il naturale corollario della riformulazione della tutela dei diritti e delle libertà fondamentali.

«Il nostro destino è nelle nostre mani. Abbiamo il talento, il coraggio e la visione per plasmare con successo il nostro futuro. La presente agenda strategica costituisce il nostro impegno comune a servire in modo inequivocabile i nostri cittadini e a realizzare il nostro obiettivo fondante di pace e prosperità»[63].

Attendiamo alla prova dei fatti l’Unione europea che verrà...

 

 

 Saggio in via di pubblicazione nella Rivista online di Diritto Pubblico Europeo (RDPE) n. 2/2024 



NOTE

[1] Discorso di Mario Draghi a La Hulpe il 17 aprile 2024 durante la conferenza di alto livello sul pilastro europeo dei diritti sociali organizzata dalla presidenza di turno Ue del Belgio. Consultabile in https://tg.la7.it/politica/disorso-integrale-mario-draghi-17-04-2024-211024; ma anche, da ultimo, E. Bonino, V. DastoliA che ci serve l’Europa, Padova, 2024.

[2] Come preconizzato dal Manifesto di Ventotene del 1941 concepito da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi (e Altri).

[3] Su cui rinvio alla recente analisi di N. Pirozzi, L’Europa matura. Le crisi globali, le riforme necessarie e il formidabile futuro dell’Unione, Milano, 2024, in particolare p. 92-93.

[4] Per «istituzionale» (riferendomi all’UE) mi aspetterei una procedura equanime tra Parlamento, Consiglio e Commissione. Viceversa, dalla lettera e dalla sostanza dell’art. 48 TUE si evince che la procedura (o le procedure) sono prerogative, in primis, del Consiglio europeo sul piano della decisione politica iniziale e, infine di procedura, dai Parlamenti nazionali (ed eventuali referendum), giacché, le modifiche entreranno in vigore negli ordinamenti nazionali solo dopo essere state ratificate da tutti gli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali (art. 48, par. 4, seconda frase, TUE). Una procedura, sostanzialmente, di ratifica di un trattato secondo le regole del diritto internazionale e non già una procedura esclusivamente interna, «costituzionale», dell’ordinamento unionale.  Quindi, si sottolinea, il ruolo dei governi che appare sostanziale e prevalente sulle altre istituzioni UE, in particolare, sul Parlamento europeo unica istituzione eletta dai cittadini.

[5] Ovvero l’applicazione delle cc.dd. «norme passerelle» a talune procedure; su cui S. Bariattiart. 48, in A. Tizzano (a cura di), Trattati dell’Unione europea, 2ª ed., Milano, 2024, p. 328ss. ma anche l’applicazione della c.d. «clausola di flessibilità» ex art. 358 TFUE, le cooperazioni rafforzate o strutturate e, perché no, l’armonizzazione o il coordinamento dei diritti nazionali grazie al c.d. «ravvicinamento delle legislazioni nazionali» di cui agli artt. 114 e 115 TFUE. In argomento A. Tizzano, Competenze della Comunità, in Trent’anni di diritto comunitario, Bruxelles, 1983, p. 45ss. e B. NascimbeneIl diritto comunitario nel futuro, in B. NascimbeneUn percorso tra i diritti, Scritti scelti, Milano, 2016, p. 267ss.

[6] Sul deficit democratico nella procedura di riforma dei trattati cfr. il mio Deficit democratico e procedura di revisione dei trattati nel processo di costituzionalizzazione dell’Unione europea, in Rivista di Diritto Comunitario e degli Scambi internazionali, n. 3-2007, p. 629ss. Più in generale, circa il sistema istituzionale UE, una forte critica è fatta di recente da L. Caracciolo, La pace è finita. Così ricomincia la storia in Europa, Milano, 2023, in specie p. 124 dove l’autore cita anche H. Mackinder, Democratic ideals and reality, London, 1919, che più di un secolo fa affermava, a proposito delle guerre, che i regimi occidentali democratici si rifiutano per forma mentis di pensare strategicamente a come evitare una guerra, salvo se non costretti a farlo per difendersi.

[7] Benché la natura costituzionale dell’Unione europea sia stata più volte ribadita dalla Corte di Giustizia Ue suscitando al tempo un ampio dibattito che oggi appare sopito. Tra le altre, in particolare, sent. 23 aprile 1986, causa 294/83 (c.d. Les Verts), ECLI:EU:C:1986:166 e il parere n. 1/91, ECLI:EU:C:1991:490. In dottrina, tra gli altri, J. WeilerLa Costituzione dell'Europa, Bologna, il Mulino, 2003; M. Poiares MaduroThe double constitutional life of the charter of fundamental rights in N. Fernandez SolaUnion europea y derechos fundamentales en perspectiva constitucional, Madrid, Dykinson, 2004.

 

[8] Per una prospettiva scettica del ruolo dell’Unione europea come elemento pacificante in Europa, cfr. L. Caracciolo, La pace è finita. Così ricomincia la storia in Europa, cit.

[9] Il Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, firmato a Roma il 29 ottobre 2004, intendeva sostituire in un testo unico tutti i trattati esistenti (UE, CE, Euratom); i lavori preparatori furono svolti da un organo ad hoc - la Convenzione sul futuro dell’Europa - che ha riunito i rappresentanti dei Parlamenti nazionali, del Parlamento europeo, dei governi nazionali e della Commissione europea. Successivamente una Conferenza intergovernativa (CIG) ha adottato la decisione definitivaintegrando, sostanzialmente, il testo della Convenzione. Infine, il documento è stato approvato, con un accordo politico dai capi di Stato e di governo in sede di Consiglio europeo tenuto a Bruxelles il 17 e 18 giugno 2004. Trattato mai entrato in vigore a seguito di referendum negativi di Francia e Paesi Bassi.

[10] Mi sia consentito ancora di rinviare al mio Il Trattato di Lisbona, Che modifica il Trattato sull’Unione europea e il Trattato della Comunità europea, Versione ragionata e sistematica per una consultazione coordinata degli articoli alla luce dei Protocolli e delle Dichiarazioni, Collana del Dipartimento di Scienze Giuridiche – Area Giuspubblicistica (vol. 26) della Università della Calabria, Milano, 2010.

[11] Con il contributo fondamentale della giurisprudenza della Corte di giustizia UE, vero «motore» dell’integrazione europea. A partire dalla storica sentenza Van Gend & Loos del 5 febbraio 1963, causa 26-62, oggi rinvenibile in ECLI:EU:C:1963:1

[12] Da una ricerca del Seminario Permanente di Studi Internazionali (SSIP) risulterebbe che le procedure che si concludono con un voto all’unanimità sarebbero 58 includendo non solo i due Trattati TUE e TFUE ma anche i Protocolli allegati che, com’è noto, hanno lo stesso valore di norma primaria.

[13] Argomento da me ampiamente trattato in L’Europa dei Popoli o degli Stati? L’integrazione spiegata attraverso il diritto dell’Unione europea, Cosenza, 2017.

[14] Si segnala sul tema il recente Convegno organizzato dalla Università degli Studi di Ferrara il 6 settembre 2024 dal titolo “Verba volant, sed imperant? The Legal Challenges of EU Communication”, in particolare, la relazione del Prof. Jacques Ziller “Communicating EU Policies and Law in 24 Different Languages: a Challenge for Artificial Intelligence”.

[15] Evidentemente la c.d. «Brexit» non ha insegnato nulla. Sul tema, tra i tantissimi, cfr. più in generale A. SandulliIl ruolo del diritto in Europa. L’integrazione europea nella prospettiva del diritto amministrativo, Bologna, 2019 e, per la parte più specifica, C. Curti Gialdino, Oltre la Brexit: brevi note sulle implicazioni giuridiche e politiche per il futuro prossimo dell'Unione europea, in federalismi.it, n.13, 29 giugno 2016, p. 1ss.; S. Lattanzi, La costituzionalizzazione della procedura di recesso alla luce Brexit, in Studi sull’integrazione europea, n. 3/2020, p. 649; M. PanebiancoLe pagine ancora bianche del post Brexit, in Rivista della cooperazione giuridica internazionale, gennaio-aprile 2020, pp. 13ss.; C. Curti GialdinoPrime considerazioni sugli accordi concernenti le future relazioni tra il Regno Unito e l’Unione europea, in federalismi.it, 10 febbraio 2021; in ultimo mi sia consentito rinviare anche al mio Europa e Felicità. Prima durante e dopo Brexit, Cosenza, 2021.

[16] Sul punto, da ultimo, C. Risi, I nuovi vertici europei, in Nuovo giornale nazionale, rinvenibile in https://www.nuovogiornalenazionale.com/index.php/estero/politica-internazionale/18761-i-nuovi-vertici-europei.html

[17] Già A. TizzanoCompetenze della Comunità, in Trent’anni di diritto comunitario, Bruxelles, 1983, p. 45ss. e un articolo del 1993 di B. Nascimbenerinvenibile in, Il diritto comunitario nel futuro, in B. NascimbeneUn percorso tra i diritti, 2016, Milano, p. 267ss.

[18] Il Consiglio europeo (Conclusioni del 27 giugno 2024, punto 40), EUCO 15/24, «condanna fermamente tutti i tipi di attività ibride, che sono in aumento e dirette contro l'Unione europea, i suoi Stati membri e i suoi partner, compresi l’intimidazione, il sabotaggio, la sovversione, la manipolazione delle informazioni e le ingerenze da parte di attori stranieri, la disinformazione, le attività informatiche malevole e la strumentalizzazione dei migranti da parte di paesi terzi. La Russia ha intensificato la sua campagna con nuove operazioni attive sul suolo europeo. L’Unione europea e gli Stati membri daranno una risposta unitaria e risoluta a tali azioni».

[19] Nelle riflessioni sopra citate («L’Europa dei Popoli»...) parlo di «Giano bifronte» per evidenziare l’atteggiamento ambiguo dei governi nei confronti dei cittadini/elettori nazionali e nelle sedi istituzionali UE.

[20] Su cui, più di recente, P. L. BalliniLa Comunità Europea di Difesa (CED), Soveria Mannelli, 2009.

[21] Ancora rinvio a C. Risi, I nuovi vertici europei, cit.

[22] Tra i tantissimi, con una differente prospettiva non dei «comunitaristi», T. E. FrosiniLa revisione dei Trattati europei: problemi e prospettive, in Associazione Italiana Costituzionalisti, Convegno di Catania su «L’integrazione dei sistemi costituzionali europeo e nazionali», 14-15 ottobre 2005; e, sul piano federalista, da ultimo, interessanti alcune considerazioni di A. Ribichini, Revisione dei trattati o costituente europea?, in https://www.eurobull.it/revisione-dei-trattati-o-costituente-europea?lang=fr

[23] Più avanti si segnalerà uno studio del Seminario Permanente di Studi internazionali (SSIP) sul voto all’unanimità in seno al Consiglio.

[24] Volutamente declinata al singolare. Sulle competenze UE e sulla scelta della base giuridica, inter aliaL. Azoulai (a cura di), The Question of Competence in the European Union, Oxford, 2014; R. Adam - A. TizzanoLineamenti di diritto dell’Unione europea, 4ª ed., Torino, 2024, p. 167ss. e 369ss.; G. Tesauro, Manuale di diritto dell’Unione europea, a cura di P. De Pasquale e F. Ferraro, vol. I, 4ª ed., Napoli, 2023.

[25] Per una ricostruzione di base della tematica cfr. G. M. RobertiLa giurisprudenza della Corte di giustizia sulla «base giuridica» degli atti comunitari, Foro it., IVp. 99ss.

[26] Nelle Conclusioni del Consiglio europeo del 27 giugno 2024 (punto 48) si afferma «la necessità di intraprendere il lavoro preparatorio e le riforme necessarie a livello interno per realizzare le ambizioni a lungo termine dell'Unione e affrontare le questioni centrali connesse alle sue priorità e politiche, nonché alla sua capacità di agire di fronte alla nuova realtà geopolitica e a sfide sempre più complesse»; tuttavia (punto 49), «Tali lavori dovrebbero avanzare in parallelo con il processo di allargamento». Ovviamente mi riferisco a Macedonia del Nord (candidata dal 2004), Montenegro (candidato dal 2010), Serbia (candidata dal 2012), Albania (candidata dal 2014), Ucraina, Moldavia e Bosnia ed Erzegovina (tutte e tre candidate dal 2022), Georgia (2023) e il Kosovo nel 2016 (accordo di stabilizzazione e associazione).

[27] Atto Unico europeo del 1986, Maastricht 1992, Amsterdam 1997, Nizza 2000 e Lisbona 2007.

[28] Firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1° dicembre 2009. Per un commento sistematico v. M. FragolaIl Trattato di Lisbona (che modifica il Trattato sull'Unione europea e il Trattato della Comunità europea), Milano, 2010.

[29] Per citare soltanto le due istituzioni maggiormente conosciute (ancorché confuse), senza tuttavia dimenticare che altri “organi” svolgono un ruolo fondamentale, intergovernativo, ancorché fuori dalle luci dei mass media. In particolare, mi riferisco al Comitato dei Rappresentanti Permanenti degli Stati membri (Coreper).

[31] Taluni parlano di vere e proprie «forche caudine», Movimento europeo, Editoriale dell’11 marzo 2024.

[32] In questo elenco va sottolineato, come mero dato di cronaca politica, i tre presidenti del Lussemburgo.

[33] Si veda oltre.

[34] Nel lessico UE si tratta di un presidente (della Commissione europea) sostenuto da una maggioranza risicata, direi spuria, simile a quella che nel 2019 aveva permesso l’elezione da parte del Parlamento europeo della signora Ursula von der Leyen: un melting pot costituito da partiti conservatori e progressisti e da un gruppo di euroscettici più moderati. In particolare, un’alleanza tra i popolari del Ppe, i socialisti di S&D, i liberali di Renew Europe e, oggi, i Verdi.

[35] L’elezione della presidente della Commissione Ursula von der Leyen è avvenuta, su 707 votanti, con 401 voti a favore, 284 contro, 15 astenuti e 7 schede bianche. In ogni caso 41voti in più del quorum necessario e considerando altresì 40 franchi tiratori.

[36] A questo punto si impone una mia considerazione sulla scelta politica dei presidenti della Commissione europea. Facendo salve alcune personalità a me pare che negli ultimi tempi si scelgano figure minori, meno rappresentative, rispetto al passato. Ciò avvalora la tendenza già evidenziata di una trasformazione «a bocce ferme» dell’Unione europea in una organizzazione intergovernativa con un presidente della Commissione arrendevole nei confronti dei capi di Stato e di governo.

[37] Si ricorda che la riforma di Lisbona aveva previsto che, a partire dal 1° novembre 2014, la Commissione europea sarebbe dovuto essere formata da un numero di membri corrispondente ai due terzi del numero degli Stati membri, prevedendo però che il Consiglio europeo potesse decidere all’unanimità di modificare tale numero. Cosa che è stata fatta. Il Consiglio europeo ha quindi deciso di mantenere invariata la composizione della Commissione corrispondente a un Commissario per ogni Stato membro ritornando così allo status quo ante Lisbona.

[38] Una sorta di «primo fra pari rango», vale a dire, un presidente cui è riconosciuta la medesima dignità di vertice dell’istituzione che rappresenta nell’ambito di un sistema istituzionale costituito da organi di pari dignità o valore.

[39] La presidenza del Consiglio è esercitata a turno dagli Stati membri dell'UE ogni sei mesi. Durante ciascun semestre, presiede le riunioni a tutti i livelli nell'ambito del Consiglio, contribuendo a garantire la continuità dei lavori in seno al Consiglio. Gli Stati membri che esercitano la presidenza collaborano strettamente a gruppi di tre, chiamati «trio». Questo sistema è stato introdotto dal Trattato di Lisbona nel 2009. Il trio fissa obiettivi a lungo termine e prepara un programma comune che stabilisce i temi e le questioni principali che saranno trattati dal Consiglio in un periodo di 18 mesi. Sulla base di tale programma, ciascuno dei tre paesi prepara un proprio programma semestrale più dettagliato. Si veda la Decisione (UE) 2016/1316 del Consiglio del 26 luglio 2016 che stabilisce le modalità di esercizio della Presidenza del Consiglio. In GUUE L 208 del 2.8.2016.

[40] Ma l’art. 13 TUE indica tra le altre istituzioni anche la Corte di giustizia, la Banca centrale europea e la Corte dei conti Ue.

[41] Da ultimo mi riferisco al caso italiano relativo alle tanto dibattute concessioni balneari che, in quanto l’Italia è parte integrante del mercato unico europeo con l’accettazione del regime antitrust comunitario, implicano la piena attuazione di atti e norme contenute nei trattati. In argomento il mio Le concessioni balneari alla luce del diritto dell’Unione europea (e della direttiva c.d. “Bolkestein”, Cosenza, 2023.

[42] La prassi dei spitzenkandidaten, non prevista dai trattati, è stata utilizzata per la prima volta nel 2014 in occasione dell’elezione del Lussemburghese Jean-Claude Juncker alla presidenza della Commissione europea, in quanto designato dal Partito popolare europeo (PPE) che aveva conseguito il maggior numero di seggi al Parlamento europeo. 

[43] Come la recente Risoluzione del Parlamento europeo del 22 novembre 2023 sui progetti del Parlamento europeo (P9_TA(2023)0427) intesi a modificare i trattati (2022/2051(INL)) nella quale si sancisce (punto 6) che «i ruoli del Consiglio e del Parlamento per quanto riguarda la nomina e la conferma del Presidente della Commissione siano invertiti per rispecchiare più fedelmente i risultati delle elezioni europee; propone di consentire al Presidente della Commissione di scegliere i rispettivi membri in base alle preferenze politiche, garantendo al contempo l’equilibrio geografico e demografico; chiede che la Commissione europea sia rinominata esecutivo europeo».

[44] La maggioranza qualificata «rafforzata» è raggiunta se sono soddisfatte contemporaneamente due condizioni: almeno il 72% degli Stati membri vota a favore (in pratica ciò equivale ad almeno 20 paesi su 27); gli Stati membri che appoggiano la proposta rappresentano almeno il 65% della popolazione dell'UE.

 

[45] Sugli ultimi risvolti post elezioni si veda il punto di vista di C. Curti Gialdino Le alternative alla Von der Leyen sono solo nel PPE, intervista di Maria Scopece del 21 giugno 2024, in https://www.policymakermag.it/dal-mondo/le-alternative-alla-von-der-leyen-sono-solo-nel-ppe-parla-il-prof-carlo-curti-gialdino/

[46] Le audizioni dei candidati alla carica di Commissario nel Parlamento europeo sono molto rigide e impegnative. Così, non in un caso, i candidati in pectore furono sostanzialmente bocciati; come l’italiano Rocco Buttiglione nel 2004 che avrebbe dovuto far parte della Commissione europea presieduta dal Portoghese Barroso.

[47] Corsivi aggiunti.

[48] Come sancisce l’art. 17, par. 7, ultima frase TUE, in seguito a tale approvazione la Commissione è «nominata dal Consiglio europeo che delibera a maggioranza qualificata.

[49] La mozione di censura è approvata a maggioranza di due terzi dei voti espressi e a maggioranza dei membri che compongono il Parlamento europeo; i membri della Commissione rimangono in carica e continuano a curare gli affari di ordinaria amministrazione fino alla loro sostituzione conformemente all'articolo 17 TUE. In questo caso‚ il mandato dei membri della Commissione nominati per sostituirli scade alla data in cui sarebbe scaduto il mandato dei membri della Commissione costretti a dimettersi collettivamente dalle loro funzioni.

[50] A proposito di presidenti nelle istituzioni UE. Senza voler scendere nel dettaglio di altri organi/istituzioni (ad es. l’Alto Rappresentante PESC) va segnalato che dalle prossime elezioni europee dovranno scaturire tre nuovi presidenti «stabili», i cc.dd. «top jobs»: Parlamento europeo, Commissione e, in quanto in scadenza, anche il presidente del Consiglio europeo. Sul punto ancora C. Curti Gialdino Le alternative alla Von der Leyen sono solo nel PPE, cit.

[51] Editoriale del Movimento europeo dell’11 marzo 2024 intitolato «Dal caos al nuovo ordine europeo» in https://www.movimentoeuropeo.it/blog/editoriali/9-uncategorised/2810-newsletter-11-marzo-2024-l-editoriale

[52] Quindi, analizzando i soli numeri, più in generale, una eventuale nuova maggioranza Ursula disporrebbe di circa 400 voti su 361 necessari. Ma il dato numerico non prevale sul dato politico e sulla votazione segreta potendosi sempre prevedere un numero di «franchi tiratori».

[53] I deputati intendono mantenere una riserva di 28 seggi per i membri che potrebbero essere eletti in una futura circoscrizione elettorale transnazionale, in linea con la proposta del Parlamento sulla legge elettorale eurounionale (che verrà...) che si trova sul tavolo del Consiglio. I deputati avvertono che qualsiasi ulteriore ritardo nei lavori del Consiglio su questa riforma sarebbe contrario al principio di leale cooperazione, poiché la decisione del Consiglio avrebbe un impatto sulle elezioni del Parlamento europeo e appunto sulla sua composizione.

[54] Virgolette aggiunte per sottolineare la qualità scadente delle traduzioni.

[55] I seggi aggiuntivi saranno assegnati come segue: Francia +2 [81]; Spagna +2 [61]; Paesi Bassi +2 [31]; Austria +1 [20]; Belgio +1 [22]; Polonia +1 [53]; Danimarca +1 [15]; Finlandia +1 [15]; Slovacchia +1 [15]; Irlanda +1 [14]; Slovenia +1 [9]; Lettonia +1 [9]. Nessuna modifica per l’Italia che mantiene i suoi 76 deputati.

[56] La proposta di decisione del Consiglio europeo è stata adottata con 316 voti favorevoli, 169 contrari e 67 astensioni. La risoluzione che accompagna la proposta è stata approvata con 312 voti a favore, 201 contrari e 44 astensioni.

[57] Il Parlamento ha approvato la decisione con 515 voti a favore, 74 contrari e 44 astensioni. Comunicato stampa del 15 giugno 2023 consultabile in https://www.europarl.europa.eu/news/it/press-room/20230609IPR96213/elezioni-europee-2024-il-parlamento-propone-di-aumentare-i-seggi-per-nove-paesi

[58] Decisione del Consiglio europeo del 22 settembre 2023 che stabilisce la composizione del Parlamento europeo, in GUUE L 238 del 27 settembre 2023, p. 114ss.

[59] In ogni caso, pur con novità importanti, dalle urne ne è scaturito una conferma della precedente maggioranza con il PPE (186 voti), Socialisti & Democratici (135 voti) e Liberali-Renew Europe (79 voti) a cui si sono aggiunti anche i Verdi-ALE (53 voti) in prospettiva di una maggioranza «allargata».

 

[60] Con riguardo a queste audizioni parlamentari già ho parlato di vera e propria calata dei candidati nella “fossa dei leoni”. Ricordo, a tal riguardo, il caso di Rocco Buttiglione candidato Commissario respinto dal Parlamento europeo nel 2004 per le sue posizioni troppo conservatrici sul ruolo della donna e sull’omosessualità. Ovviamente non è stato il solo caso. Sul punto il mio L’Europa dei Popoli o degli Stati? L’integrazione spiegata attraverso il diritto dell’Unione europea, Cosenza, 2017, p. 43ss.

[61] Al momento in cui scriviamo la nuova Commissione europea non è stata ancora definita.

[62] Sul punto rinvio alle considerazioni di C. Curti Gialdino Le alternative alla Von der Leyen sono solo nel PPE, cit.

 

[63] Ultima frase delle Conclusioni del Consiglio europeo del 27 giugno 2024, cit.



Saggio in via di pubblicazione nella Rivista online di Diritto Pubblico Europeo (RDPE) n. 2/2024