sabato 15 febbraio 2020

UN RINASCIMENTO EUROPEO E' POSSIBILE di Alessandro Ricchi - NUOVA ANTOLOGIA pp.369/75

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12-2019
NUOVA pp.369/75
ANTOLOGIA
Rassegne 369

UN RINASCIMENTO EUROPEO E' POSSIBILE
di Alessandro Ricchi

Massimo Fragola, L'Europa mortificata, G. Giappichelli Editore, Torino,2019;
David Parenzo,I falsari (come l'Unione europea è diventata il nemico perfetto per la politica
italiana), Marsilio, 2019;
Antonio Padoa-Schioppa, Perché l'Europa (Dialogo con un giovane elettore), Ledizioni, 2019;
Giulio Tremonti, Le tre profezie (Appunti per il futuro), Solferino, 2019;
Giacinto della Cananea - Jacques Ziller (a cura di),Il nuovo diritto pubblico europeo (Scritti in onore di Jean-Bernard Auby), Giappichelli Editore, Torino, 2019.

L'art. 2 della Carta dei Diritti dell'Unione Europea (Trattato di Lisbona) sancisce:
«L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà,
della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti
umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono
comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla tolleranza,
dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini».
Lungo queste direttrici l'Europa si è mossa con sufficiente coerenza. Ila realizzato
la libertà economica, cioè di far muovere le merci senza limiti, la libertà di
spostamento degli uomini, la libertà delle frontiere, la libertà dei giovani di sentirsi
"a casa propria" in tutte le sue università e in tutte le sue scuole, la libertà di avere,
quasi ovunque, la stessa moneta. Dunque è andata avanti.
Tuttavia è opinione diffusa che oggi questa Europa sia fragile, che non sappia
rispondere alle emergenze perché influenzata dagli opportunismi nazionali. Il passaggio
all'euro (1991) avrebbe dovuto coincidere col passaggio dal "mercato
comune" alla vera e propria unificazione politica europea: cioè passare dall'unione
dei governi a un'Europa politica "unione dei popoli e dei cittadini". Questo processo
è rimasto incompiuto, ha prevalso la logica della "stabilità finanziaria".
Questa fragilità si è evidenziata anche sul piano della politica internazionale: è
vero, si è riusciti a mantenere la Grecia nell'Unione ma l'establishment europeo è
apparso più interessato a salvare la tenuta dei sistemi bancari nazionali che a
dare una prova vera di solidarietà; si pensi poi alle reazioni deboli e incerte davanti
alla crisi' ucraina, alla guerra civile siriana, all'invasione della Crimea, all'insufficiente
lavoro per la tutela della sicurezza dei cittadini europei. L'UE non ha saputo
dare risposte unitarie e autorevoli all'atteggiamento aggressivo degli Stati Uniti,
non ha trovato una risposta comunitaria all'emergenza migratoria. La fine della
guerra fredda purtroppo non ha coinciso con la democratizzazione dei Paesi ex
sovietici: nessuno vuole rinunciare ai vantaggi del mercato integrato ma... viene
rispettata la "qualità etica" di appartenere alla UE? In generale possiamo dire che
l'Europa non ha saputo trovare le risposte giuste sulle emergenze degli ultimi
anni. Risultato: c'è la tendenza a una scontentezza generale, i popoli europei temono
per il loro futuro, alcuni leaders hanno preso strade qualunquiste, qua e là emergono
spinte antieuropee che illudono i cittadini di poter affrontare meglio i propri problemi
dando più spazio agli Stati nazionali contro la "sovranità condivisa" (la "popolocrazia").
Atteggiamenti che contengono grandi rischi e dimenticano le conquiste fino ad oggi ottenute.

Molti dimenticano o non sanno che oggi gli europei rappresentano, sul nostro pianeta, una forza positiva per il benessere acquisito, le aspettative di vita, l'equilibrio
tra lavoro e tempo libero. Però all'orizzonte ci sono parecchie nubi che ci minacciano.
Le dinamiche della geopolitica internazionale suggeriscono un'Unione Europea
più forte e coesa, che sappia affrontare i problemi del governo della crisi economica,
dei flussi migratori, della sicurezza, dell'ambiente, dell'occupazione
(specialmente giovanile), della politica fiscale. Tutti problemi che vanno affrontati
al di là delle resistenze degli Stati nazionali. Le diseguaglianze economico-sociali, il
calo demografico di alcune aree con le logiche ricadute sullo stato sociale, i problemi
conseguenti al continuo progresso delle tecnologie che creano tensioni nel mondo
del lavoro, gli scetticismi dell'antipolitica, la diffidenza dei governanti nazionali non
aiutano. Ma la competizione è internazionale e i singoli Stati non potrebbero proteggersi
da soli, tornare alle frontiere chiuse, alle monete nazionali, ai dazi e all'isolazionismo
nazionale sarebbe un suicidio e rivelerebbe una gretta mentalità provinciale.
Certo non saprebbero e non potrebbero misurarsi e fronteggiare queste
competizioni internazionali, primi fra tutti il fondamentalismo di mercato degli
USA e il capitalismo di Stato della Cina — le vere sfide attuali e future.
D'altronde nelle istituzioni europee restano centrali i valori della democrazia
rappresentativa e dei diritti umani. Purtroppo dopo la fine della guerra fredda alcuni
Paesi ex sovietici non hanno saputo crescere sul piano democratico nonostante che
abbiano ricevuto forti contributi per superare il disastro socio-economico da cui
erano usciti. La Polonia, l'Ungheria e la Romania hanno dimostrato scarso rispetto
per i valori democratici dell'UE. Il governo polacco ha rafforzato il controllo su
compagnie pubbliche, informazione, esercito, sistema giudiziario. Eppure la Polonia,
nel 2017, ha versato alle casse europee 3,048 miliardi di euro mentre la spesa
dell'UE in questo Stato è stata di 11,9 miliardi; l'anno scorso il PIL polacco è cresciuto
del 5,1%. L'Ungheria — tra l'altro — ha ridotto la funzione della Corte costituzionale,
ha esteso il controllo sull'informazione di fatto annullandone ogni libertà
e mettendola tutta (scritta e radiotelevisiva) sotto il controllo del governo-Orbàn;
ampia la censura sulle strutture culturali più importanti; istituzione di un sistema
parallelo di tribunali amministrativi alle dirette dipendenze del ministro della Giustizia.
La UE ha aperto indagini sulla corruzione di Stato (riguardante anche l'uso
dei fondi europei, finiti nelle tasche degli oligarchi vicini al potere). Malgrado tutto
questo, nel 2017 l'Ungheria ha contribuito al bilancio europeo con 821 milioni di
euro e ha incassato fondi per 4,049 miliardi. La Romania, nello stesso anno, ha
versato 1,229 miliardi di euro e ne ha incassati 4,742 (crescita PIL 2018 del 4,1%).
Tuttavia è in balia di una vasta corruzione endemica (molti politici sono finiti in
carcere) e l'UE ha promosso un'indagine sulle frodi ai danni del bilancio dell'UE.'
' In realtà per le sanzioni estreme occorre l'unanimità dei capi di Stato e di governo. Si tratta di un
percorso complicato perché gli Stati sotto accusa per violazioni possono trovare, ovviamente, l'appoggio
di alleati che possono porre il veto. Nella fattispecie, la Polonia può contare sull'Ungheria, sul governo
ceco, e — almeno fino a ieri — sul governo italiano. Si tratta di decisioni di carattere politico. Nel gennaio
di quest'anno la Commissione ha proposto al Parlamento — che l'ha fatta propria e l'ha approvata (col
voto contrario soltanto della Lega e l'astensione del M5S) — di attuare, dal 2021, tagli ai fondi UE per i
Paesi che violano lo Stato dì diritto. La decisione spetterà a Consiglio e Parlamento — ma sarà sufficiente
la maggioranza. All'orizzonte si profilano altre "nubi" in grado di minacciare i valori fondamentali.
In presenza di questa situazione deludente e imbarazzante, la nuova presidente
della Commissione europea ha ribadito l'impegno per la tutela dello Stato di diritto
(ad esempio negando l'accesso ai fondi europei ai Paesi che lo mettono a rischio);
inoltre il nuovo Parlamento europeo ha confermato la nomina, al vertice della Procura
europea, di Laura Kovesi, magistrata romena simbolo d'imparzialità negli
abusi del potere politico. Recentemente la Corte di giustizia dell'UE ha richiamato
la Polonia al rispetto dell'indipendenza del potere giudiziario e nel settembre del
2018 il Parlamento europeo ha avviato una procedura d'infrazione sullo Stato di
diritto e nel marzo del 2019 il Ppe ha sospeso il partito di Orbàn, Fidesz. La Commissione
europea ha ammonito di recente Bucarest. Concludendo, ad oggi per la
prima volta contro Polonia e Ungheria è stata attivata la procedura d'infrazione, In
sostanza, ed è scandaloso, questi tre Paesi incassano i vantaggi dell'appartenenza
alla UE senza rispettarne i principi fondanti. Dunque, cosa fare? L'Unione Europea resta comunque una garanzia del suo patrimonio costituzionale anche se qualche Stato lo minaccia temporaneamente; e la maggioranza dei cittadini europei — specialmente i giovani, che guardano al futuro
— avanza critiche ma considera ancora l'Europa la "casa comune", in cui gli Stati
nazionali possono coesistere e integrarsi. Occorre assolutamente un rilancio ideale
dell'unione, basato sulle radici storiche e culturali comuni e sul sentire comune.
Solo così potremo avere un rilancio pratico ma anche morale dell'idea di unità europea.
Ricordando che Benedetto Croce vedeva in questa unità l'unica strada per una
"religione della libertà". Per perseguire questo obiettivo occorre innanzitutto conoscere
bene il significato dell'UE; e poi parlarne, discuterne, diffonderne i principi
fondanti. In questo senso è positivo l'incremento che si registra di libri che parlano,
appunto, di questo argomento, anche se purtroppo pochi, in genere, intercettano il
grande pubblico. Qui accenneremo, appunto, a cinque di queste recenti pubblicazioni,
che ci sembrano particolarmente utili per entrare nelle problematiche europee.

Massimo Fragola — docente di Diritto dell'Unione europea nell'Università della
Calabria — nel suo L'Europa mortificata lancia un "j'accuse" accorato contro quanti
(gli Stati, i governi) assecondano l'opinione delle popolazioni circa una responsabilità
dell'Unione Europea nella crisi economica e sociale che da tempo ci preoccupa,
facendo così dell'UE il "capro espiatorio" di quella che invece è la loro incapacità.
ad affrontare e risolvere tali problemi. E questo, speculando sulla sostanziale inconsapevolezza
della maggior parte dei cittadini sul funzionamento e i motivi di alcuni
difetti delle istituzioni europee e istigandoli, di fatto, a un conformismo critico grossolano
e retrogrado. Questo, tra l'altro, perché nelle classi dirigenti delle nazioni
europee manca una visione di lungo periodo della politica, che specula sui limitati
orizzonti "domestici" ignorando o dimenticando che fenomeni come la globalizzazione,
l'internazionalizzazione dei rapporti geopolitici, il crescente sviluppo delle
tecnologie non solo non regrediranno ma condizioneranno sempre più la vita del
dell'UE. [Tra i candidati ad entrare nell'Unione ad esempio ci sono la Serbia (da mesi vi accadono
manifestazioni contro il presidente Aleksandar Vucic, accusato di esercitare metodi autoritari e di imbavagliare
l'informazione) e la Turchia di Erdogan (dove in carcere con accuse sommarie si trovano migliaia
di politici, insegnanti, magistrati, impiegati pubblici, poliziotti e militari oltre a una quantità incredibile
di giornalisti). Il fatto è che l'Europa non è fatta solo di mercati ma è, principalmente, un insieme di
valori, libertà e diritti conquistati con grandi sofferenze e non negoziabili].
nostro pianeta e che quindi, senza un respiro globale — multilaterale, multiculturale
— si rischia di restare ai margini della realtà che si profila all'orizzonte.
Il processo di integrazione europea, quindi, è irreversibile anche se riformabile
e migliorabile in molti suoi aspetti. Occorre, certo, sviluppare e valorizzare le specificità
nazionali, regionali e locali ma partecipando alla gestione della "governante"
mondiale aderendo a organizzazioni internazionali e sovranazionali che rappresentano
le relazioni internazionali a livello politico, diplomatico, economico, finanziario,
eccetera. Altrimenti arriverà sempre il contraente più forte che imporrà il proprio
punto di vista a quello più debole. Inoltre — asserisce sempre l'autore — non bisogna
dimenticare che attraverso il diritto — internazionale o europeo — gli ordinamenti
nazionali sono armonizzati in determinate materie così da ravvicinare le legislazioni
interne e, soprattutto, nel rispetto della reciprocità, accostare i cittadini di diversi
Stati. Del resto esistono settori — clima, energia, terrorismo internazionale, flussi
migratori e circolazione delle persone, eccetera — in cui è indispensabile un approccio
di respiro globale. Né si deve dimenticare che un'Europa unita dà fastidio nei rapporti
e nelle scelte di geopolitica — laddove, invece, proprio un'Europa compatta
potrà diventare interlocutrice fondamentale per l'ordine mondiale futuro. Del resto
non si deve dimenticare che — come dimostrano varie indagini di vasto respiro — il
malcontento e la diffidenza verso la UE proviene soprattutto dai soggetti più anziani
e meno istruiti che abitano zone marginali delle città e coincide con l'ostilità verso
le trasformazioni culturali del nostro tempo, cioè lo spostamento epocale dei valori
di riferimento dello sviluppo della modernità. Si vorrebbero difendere tradizioni
nazionali, familiari, sociali e culturali restando così fuori dai grandi mutamenti in
corso; nell'illusione che i fenomeni globali si possano "bypassare" solo a livello
nazionale. Al contrario i giovani — specie le generazioni "erasmus" — vogliono restare
nella dimensione dell'integrazione europea e sentirsi cittadini dell'Unione Europea.
Gli europei debbono essere resi più consapevoli di quanto accade nelle istituzioni
europee. Come ad esempio il fatto che troppo spesso il blocco delle iniziative
europee in sede di Consiglio dell'UE (in cui siedono i Capi di tutti gli Stati e i
governi europei) dipende proprio dal comportamento di questo o quel rappresentante
nazionale in quanto ciascuno ha diritto di veto; e non si può ignorare che
troppo spesso la suddetta Commissione è troppo accondiscendente alle volontà dei
Capi di stato e di governo; così come il fatto che non di rado in patria — cioè verso i
propri elettori — i suddetti rappresentanti hanno atteggiamenti divergenti rispetto a
quelli svolti nella Commissione.
Lo studioso indica alcune scelte che in futuro potranno rilanciare il processo
d'integrazione europea e un rapporto di fiducia tra cittadini e istituzioni. Tra l'altro,
andrà istituita una "procedura d'urgenza" per fronteggiare le crisi economico-finanziarie-
monetarie; più in generale, andrebbe riformata l'intera struttura dell'Unione
economica e monetaria e dell'Unione bancaria. Andrà evitata un'applicazione esasperata
dei parametri di Maastricht (specie per quanto riguarda il rapporto deficit-
PIL) che ha convertito il "patto di stabilità e di crescita" in una pericolosa precarietà
politica e sociale, diventando un patto di instabilità e decrescita economica e sociale
— sempre comunque tenendo conto che la UE non è un fondo assistenziale. E dovrà
rimettere al centro della sua agenda il progetto della lotta alla povertà e all'esclusione
sociale.

Il libro di David Parenzo è un "viaggio" dentro le istituzioni europee per prendere
atto di virtù e contraddizioni soprattutto al fine di dimostrare che le accuse
contro l'integrazione europea sono delle vere e proprie bufale e che chi le lancia è
un vero e proprio "falsario", un bugiardo che fa solo i propri interessi. Parengo
costruisce il suo viaggio attraverso spiegazioni chiare dei ruoli che svolgono le varie
strutture comunitarie, interviste esclusive e dati precisi attraverso cui smonta le
accuse infondate di "lobbisti" e di freddi "tecnocrati" nonché di "sprechi" lanciate
contro chi governa, con molta fatica, gli ingranaggi del Parlamento europeo. Accuse
che purtroppo trovano ampia ospitalità nella "rete" (che anzi le ingigantisce e le
distorce vieppiù) e facile ascolto grazie alla innocente ignoranza di larghe fasce di
cittadini assediati dalle preoccupazioni economiche del momento. Una propaganda
insomma che cavalca la rabbia dell'impoverimento dovuto a una crisi che è mondiale
cercando di far credere che sia l'Unione Europea la causa di questo stato dí cose.
Quali le ragioni per cui accade tutto questo? Parengo le indica nell'inettitudine
dei nostri partiti nello spiegare con onestà cosa l'Europa abbia fatto e faccia per
noi, e poi nell'incapacità dimostrata negli ultimi anni dai governi nazionali di intraprendere
politiche economiche e sociali in grado di dare risposte a chi ne aveva
bisogno. Sottolinea poi le responsabilità gravissime dei governi nazionali che troppo
spesso non hanno attuato le direttive europee facendo poi multare i Paesi o hanno
creato un debito pubblico talmente grande da aver mandato all'aria intere nazioni
(vedi il caso della Grecia).
In realtà, dice Parengo, dovremmo smettere di parlare di interessi nazionali e
cominciare a discutere degli affari europei come temi di politica interna e pensare
come "affari esteri" quelli che riguardano USA, Cina, Russia, India, Medio Oriente,
eccetera. Tenere presenti gli importanti vantaggi ricevuti dall'Unione come le tariffe
telefoniche agevolate, le risorse per l'agricoltura, la tutela del made in Italy, i fondi
stanziati per la riqualificazione delle periferie, oltre alla tutela del cibo che mangiamo,
alla creazione di standard comuni di diritto e una moneta forte in grado di competere
con le altre valute. Capire che — come ha scritto il fondatore del "Manifesto di Ventotene"
— «Europa significa più salvaguardia delle nostre singole identità», non
meno identità. Senza un potere politico europeo non sarebbe facile sottrarsi a quello
dell'America o della Russia o di altri.
Obiettivo? Servirebbe, scrive Parengo, arrivare a un vero federalismo per cui
il "sovranismo" dovrebbe essere europeo. E non scordare la storia del secolo scorso:
anche il nazismo, il fascismo, il comunismo sovietico fecero presa sulla scorta di
slogan e promesse false che costarono sangue e sofferenze per decenni a milioni di
persone.
Per Antonio Padoa Schioppa — professore emerito che ha insegnato Storia del
diritto medievale e moderno all'Università di Milano e si è occupato degli aspetti
costituzionali dell'Unione Europea — la UE è «una grande cattedrale incompiuta».
Una realtà complessa, multiforme, difficile da afferrare nel suo insieme, non esente
naturalmente da errori e problemi anche seri, ma che resta imprescindibile per un
futuro positivo del nostro continente.
Per entrare in questo mondo Padoa Schioppa (in Perché l'Europa) usa il metodo
del dialogo, su temi di attualità, con un giovane che ha votato alle ultime elezioni
per il Parlamento europeo. E che lo sottopone a una lunga e impietosa raffica di
domande e di riflessioni che riguardano il passato e il presente, gli errori e i dubbi,
cosa c'è in gioco sul piano dello sviluppo in positivo o in negativo di questo ambizioso
progetto, il ruolo che ha giocato ma che soprattutto è chiamato a giocare in
futuro e che riguarda soprattutto la vita delle giovani generazioni. L'Europa impone
dei "diktat" dall'alto senza alcun riguardo per i cittadini dei singoli Stati, sembra
faccia più che altro gli interessi delle banche e della grande finanza, non sa rispondere
ai grandi problemi del futuro tra cui quello dei flussi migratori, e via di questo
passo fino ai punti più difficili e complessi dell'attività comunitaria? Il professore
risponde sottolineando innanzitutto che non bisogna mai sottovalutare i traguardi
che l'UE ha raggiunto da quando è nata. Ricorda, all'occorrenza, che l'euro è la
seconda moneta mondiale, che il mercato europeo è al primo posto nel mondo, che
la qualità della vita e il modello sociale europeo sono molto alti; ricorda che il
nostro Paese versa al bilancio europeo 14 miliardi di euro l'anno e ne riceve dodici
(gran parte dei quali non riesce a spendere per eccesso di burocrazia e negligenza).
Sottolinea che in futuro (un futuro che è già cominciato) molte grandi scelte verranno
attuate da pochi ma grandi Stati (USA, Cina, India, Russia, Brasile...) e che
i nostri 500 milioni di abitanti (sui sette miliardi della Terra) possono non soccombere
solo se stanno uniti e si integrano, le dimensioni nazionali sono insufficienti
per affrontare le sfide mondiali in corso. Senza dimenticare naturalmente i vuoti
che restano da colmare per il successo della Comunità. In Europa, tra l'altro, permangono
politiche economiche differenziate, sistemi fiscali diversi e a volte in concorrenza
tra loro, manca il completamento dell'unione bancaria. Giovane e docente
sembrano approdare a una medesima convinzione: che il progetto dell'Unione Europea
deve cambiare passo ma affrontare con realismo e ottimismo i rischi attuali
d'involuzione.
Il volume di Giulio Tremonti è una dura requisitoria verso l'Unione Europea.
Che, presa di contropiede dalla globalizzazione, dalle nuove tecnologie, dalle dinamiche
internazionali della governance della finanza e dalla crisi economica, cioè da
una serie di fenomeni che stanno destabilizzando il mondo, non ha saputo dare
risposte adeguate. Non solo, ma in più Bruxelles ha riunito nelle sue mani troppi
poteri, ha raccolto una massiccia quantità di potere, una cessione quasi illimitata
di competenze sia amministrative che legislative. Oggi ha ben ventisei competenze
esclusive, cioè quasi tutto. E ogni anno produce circa dieci chilometri lineari di
nuove regole «invasive e dilaganti». Arriva fino a «dettare le regole per il benessere
degli animali». L'UE, secondo l'autore, è diventata cioè troppo elitaria, troppo totalitaria,
troppo finanziaria. Detta regole su tutto e per tutto, tesa a standardizzare
per "direttiva" e per "regolamento" tutte le realtà storicamente proprie degli Stati,
sostituendole d'ufficio con modelli sociali nuovi e universalistici artificiali, ignorando
le tradizioni, le culture, i costumi, le libertà nazionali. I popoli — sostiene Tremonti
— non si integrano con criteri di «ingegneria sociale». Questo comportamento ha
fatto crescere la sfiducia verso l'unità europea e ha dato luogo alla nascita dei cosiddetti
populismi. Dunque l'idea di un'unione europea capace di superare i limiti dei
singoli Stati va accantonata? No, risponde Tremonti. Ma bisogna, intanto, rilanciare
il principio di solidarietà (violato nella crisi della Grecia) e occorre, più in generale,
ridiscutere l'ordine europeo come è stato costituito da Maastricht (1992), bisogna
insomma cambiare la struttura stessa dell'Unione. Che dovrebbe — secondo Tremonti
— lasciare alla sovranità dei singoli Stati ciò che non è essenziale per l'Unione e
concentrarsi, invece, su quanto è fondamentale e popolare: la difesa dei confini, la
sicurezza e l'intelligence, finanziandole emettendo titoli europei (Eurobond). Senza
dimenticare che l'Europa rappresenta circa il 6% della popolazione mondiale, il
20% del PIL globale, il 40% del welfare (finanziato in deficit).
Per concludere un accenno al volume sul nuovo diritto pubblico europeo curato
da Giacinto della Cananea e Jacques Ziller: un'antologia di scritti di studiosi italiani
e francesi in onore di Jean-Bernard Auby, uno dei giuristi più coinvolti nello studio
sulle trasformazioni del diritto pubblico — nella prospettiva comparata — europeo e
mondiale. Quali i principali problemi di questa branca del diritto? Quelli relativi all'esigenza
di innestare il corpo europeo sulle amministrazioni e sui diritti amministrativi
nazionali. Il volume quindi cerca di fare il punto delle ricerche sul diritto pubblico
europeo mettendo insieme analisi dell'amministrazione europea e del suo impatto
nazionale, studio del diritto che la regola e indagine sulle ricerche che riguardano
entrambe. Secondo Giacinto della Cananea, che firma l'introduzione, nell'analisi
della costruzione amministrativa europea occorre distinguere tre momenti: quello
che prende il via dall'assunto che si tratti di un ordinamento con valori e principi
comuni o convergenti, quello del presupposto che si sia in presenza di un insieme
di ordinamenti relativi a popoli diversi e, terzo, l'idea che vi siano standard ottimali
comuni cui gli ordini nazionali si allineano. Da cui tre "fondamenti" su cui l'ordine
giuridico europeo poggia: il ruolo delle Corti costituzionali ed europee che impatta
sui diritti amministrativi nazionali, la forza trainante di principi giuridici comuni,
lo sviluppo di norme sul procedimento amministrativo da intendersi come momento
di collaborazione e partecipazione. Dunque quale filosofia europea per il futuro?
Gli europei devono sentirsi "uniti nella diversità" e i loro rappresentanti a Bruxelles
debbono attuare una continua opera di mediazione e di comprensione. L'Unione
Europea esige il consenso e la volontà di tutti gli attori e tener presente che il bene
comune è una risorsa e non una limitazione.
Alessandro Ricchi

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