Qualche giorno fa Alessandro Leipold su Il Sole 24 Ore
analizzava le cause della nostra crisi. Una vecchia storia. Negli ultimi 30
anni (circa) l'Italia è stata sempre in crisi: più o meno grave. Molto
attentamente, Leipold rilevava che già nel 1970 Giudo Carli parlava di
"lacci e lacciuoli" che ingabbiavano come una morsa la nostra
economia. La frase "lacci e lacciuoli" non era però di Carli bensì fu
coniata qualche anno addietro da Luigi Enaudi; entrambi però si riferivano ai
numerosi vincoli che soffocavono la nostra economia e ne riducevano il
potenziale. Vincoli ed ostacoli del tutto domestici che, come ha affermato
Leipold, sono "zavorre accuratamente made in Italy". Ad esempio il
costo della pubblica amministrazione e l'inefficienza della stessa; l'intreccio
di caste corporative; la regolamentazione bizantina del mercato del lavoro; il
fardello del debito pubblico. Per fare solo alcuni esempi. Ma noi guardiamo
sempre altrove, mai in noi stessi. Mai un'autocritica dalla quale partire per
rinnovare. Veramente e concretamente. Le cause della crisi (ennesima!) sono sempre
al di fuori dei nostri confini. I vincoli europei…i compiti a casa. L'Unione
europea è il capro espiatorio, da "demonizzare", da condannare tout
court senza appello. Soprattutto senza sapere. Questo atteggiamento, molto in
voga negli ultimi anni, è stato alimentato non soltanto dagli euroscettici (che
per carità hanno tutto il diritto di farlo), ma anche da persone (mi riferisco
in particular modo a politici) che euroscettiche non sono. Quante volte abbiamo
sentito la frase: "ce lo impone l'UE" oppure "è un obbligo
comunitario" talvolta impropriamente affermato. Certo l'UE costituisce una
grande valvola di sfogo soprattutto per i governi nazionali; quail che siano. E
specialmente i nostri governi degli ultimi anni. E' chiaro che l'ordinamento
giuridico UE determina delle regole che si applicano nel territorio UE,
precisamente, 28 Stati e più di 500 milioni di persone. Regole che devono
essere rispettate da tutti pena una disparità di trattamento e la violazione
del principio costituzionale di non discriminazione. A ciò vigila sul piano
politico la Commissione sul piano giurisdizionale la Corte di giustizia. Se ciò
non avviene si verifica la "rottura del patto" e la violazione della
leale collaborazione, altro principio costituzionale. Ciò detto, è altresì
chiaro che la governance dell'UE può e deve essere migliorata; soprattutto la
gestione della moneta comune (che lo ricordo gode nei Trattati, ed al di fuori
di questi, di una disciplina particolare), che gli addetti ai lavori ben
criticano già dalla sua nascita nel 1992 Trattato di Maastricht. L'ordinamento
UE non è perfetto ed è quindi perfettibile. Lo comprendo una legislazione
sconosciuta che promana da un sistema sconosciuto non comprensibile. Ma accettabile
e influenzabile nelle sedi opportune; prima che le "leggi europee"
siano adottate. Il parlamento europeo è l'unica istituzione chef a i nostri
interessi, al di là dei governi e degli Stati. E la prossima votazione europea
è l'occasione buona per invire parlamentri seri e preparati. Al di la del
colore politico di ciascuno. Stare insieme agli altri cittadini europei, agli
altri Stati membri, nell'esercizio delle competenze condivise è una necessità
ineludibile. Quindi, anche un'occasione per darci definitivamente una regolata
al nostro modo di essere e rispettare (anche) gli impegni europei. Come
d'altronde fanno gli altri 27 Stati.
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