Non
c'è dubbio che il comportamento delle Autorità indiane in occasione prima, del
fermo dei due marò e più di recente dell'ambasciatore italiano, è in palese
violazione del diritto internazionale. Così come in violazione del diritto
internazionale è stata tutta la vicenda processuale interna. Si tratta di
decisioni politiche, direi "mediatiche", dovute probabilmente al
clima che si è venuto via via creando all'interno del Paese sulla spinta
emotiva dei cittadini indiani. Ciò non giustifica peraltro il discutibile
comportamento, anzi, posto che l'India conosce bene il diritto internazionale
applicabile alla fattispecie, l'atteggiamento delle Autorità indiane è maggiormente
deprecabile e pertanto sanzionabile dal punto di vista del diritto
internazionale. In verità emerge altresì una dura realtà geopolitica: l'India è
oggi un Paese in forte ascesa dal punto di vista economico-politico; l'Italia,
per contro, è alla ricerca di recuperare un ruolo più consono che le compete,
da tempo perso sul piano internazionale e da diversi anni. Per spiegare meglio la controversia
India-Italia, occorre precisare che il caso diplomatico-giudiziario trae
origine dal dilagante fenomeno della pirateria
nell’oceano indiano (invero come in altri mari); il fatto, da tutti conosciuto,
sarebbe avvenuto in acque internazionali e non acque territoriali indiane come
sostenuto dalle Autorità locali. Ciò non ha grande rilevanza per il diritto
internazionale. Il regime di
immunità dello Stato (Italia) (Stato apparato inteso come l'insieme dei suoi
organi) lo esenta dalla giurisdizione dello Stato del foro e, in ogni caso, si
applica anche per i fatti commessi nel territorio dello Stato del foro, per la
medesima ragione (immunità). La questione della pirateria in
generale ha comportato che gli Stati, al fine di tutelare le navi battenti
bandiera nazionale, forniscono scorte armate - composte di militari, come nel
caso dei marò, o di private contractors - a loro protezione.
Si tratta evidentemente di attività dello Stato esercitate iure imperii in
risposta al fenomeno della pirateria; fenomeno questo considerato anche dal
Consiglio di Sicurezza dell'ONU destabilizzante la pace e la sicurezza
internazionale. A tal riguardo
l'accordo internazionale multilaterale "Vessel Protection Detachement" ha come obiettivo precipuo, tra
l'altro, di organizzare, a livello multilaterale,
le scorte armate sulle navi mercantili. L'Italia ne è parte. L'India non ha a
riconosciuto detto accordo. Tuttavia l'India riconosce ed accetta il diritto
internazionale generale, la convenzione di Vienna sulle relazioni diplomatiche
del 1961 e, non ultimo, è membro ONU. ll comportamento delle Autorità
indiane è in violazione del diritto internazionale, atteso che gli organi dello
Stato (nella fattispecie i marò e l'ambasciatore italiano) sono immuni dalla
giurisdizione penale dello Stato straniero allorché svolgono attività iure
imperii. Ed è piuttosto chiaro che i marò nell'arco delle loro funzioni e
soprattutto l'ambasciatore rappresentano organi dello Stato italiano. L'Ambasciatore
italiano in India rappresenta il lo Stato (governo) italiano, il quale, avendo
ottenuto il gradimento da parte indiana, assume lo status diplomatico di capo
missione con tutti i trattamenti che gli competono dalla sua condizione. A
voler semplificare: immunità dalla giurisdizione, cioè non processabilità
dinanzi a tribunali locali, inviolabilità della persona, della sede e
dell'abitazione, diritto di circolare liberamente, divieto di fermo di polizia,
ecc. Alle Autorità indiane l'unica possibilità è di ritirare il gradimento e
considerare la persona (l'ambasciatore) persona non grata e, eventualmente,
espellerlo. Stando le cose diversamente, non è possibile ai sensi della
convenzione di Vienna del 1961, fermare con azioni di polizia o limitare gli
spostamenti dell'ambasciatore. La questione sin dal principio sarebbe dovuta
essere risolta in via diplomatica e non giudiziaria (per di più da tribunali
indiani). Ora la questione dovrebbe
essere risolta sul piano politico-diplomatico (in via prioritaria), grazie
anche alle pressioni di ONU e Unione europea, ottenendo così il rilascio dei
due marò e consentendo all'ambasciatore italiano piena libertà di movimento e
di azione. Altrimenti l'unica via perseguibile per lo Stato italiano è un
arbitrato internazionale, ovvero sollevare la questione dinanzi ad un tribunale
internazionale al fine dell'accertamento dei fatti e, l'individuazione delle
responsabilità internazionali previste dal diritto internazionale.
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