sabato 30 marzo 2013

Sui pagamenti della Pubblica Amministrazione alle imprese. Il diritto dell'Unione europeo in questo caso è sempre il "mostro" da mettere in prima pagina?


E' sorprendente come i media nazionali, soprattutto degli ultimi giorni, trattino l'argomento dei ritardi dei pagamenti dovuti dalla Pubblica Amministrazione (PA) alle aziende fornitrici di beni e servizi in un'ottica meramente nazionale. Esaltando le recenti iniziative del governo come utili e necessarie per dare un po’ di ossigeno alle imprese italiane oramai sul baratro del fallimento. Dell'Unione europea (o dell'"Europa" come scrivono i media) nulla, nemmeno un riferimento alla normativa sovranazionale. Eppure il decreto legislativo n. 212 del 2012 è un atto nazionale obbligato dalla direttiva comunitaria n. 2011/7/Ue relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. In questo caso l'obbligo (perché di obbligo si tratta) scaturente dalla direttiva è il benvenuto (nonché necessario), giacché sblocca considerevoli capitali bloccati da tempo a favore di aziende che hanno già fornito beni e/o servizi (sopportando talvolta spese ingenti). In questo caso l'Unione europea non è il solito "mostro" che stritola gli Stati membri e obbliga i cittadini a fare scelte sempre più al ribasso nell'economia familiare. Eppure i media non ne fanno parola. Questo è un atteggiamento tipico che si consuma negli anni sin dall'inizio del processo di integrazione europea. Laddove l'Unione è la causa di tutti i nostri mali va condannata senza esitazione in prima pagina e con giudizi (talvolta) affrettati e senza cognizione di causa. La critica all'"Europa" (spesso confondendo Consiglio d'Europa con Unione europea!) paga sul piano mediatico. Laddove, invece, è dato riscontrare (come nel caso che ci occupa) un'azione positiva dell'Unione europea (che, mi si creda, non è residuale o minoritaria) in ordine alla tutela dei diritti delle persone (in questo caso delle persone giuridiche) e dei cittadini, l'interesse dei media scema vistosamente e dalla prima pagina, dalle luci della ribalta, si transita, generalmente,  in pagine interne o post meno visibili. Siffatto atteggiamento deve finire. Lo stesso dicasi per i governi nazionali che spesso, troppo spesso, chiamati a scelte difficili nei confronti dei propri cittadini-elettori, scaricano le maggiori colpe sull'Unione. Che grande valvola di sfogo è l'UE per i governi nazionali. Ma ora basta. Non è più possibile accettare una tale prospettiva. Anche perché, in questo modo, i cittadini si allontanano sempre più dall'UE giacché percepiscono in negativo l'appartenenza all'Unione e spesso si sente affermare (senza cognizioni di causa) "ma quanto ci costa appartenere all'Unione"… Ora, si badi bene, il sistema politico-legislativo dell'Unione non è perfetto anzi va perfezionato e migliorato. Sono anni che gli studiosi della materia ne denunciano le carenze e le imperfezioni. Io credo che il sistema giuridico-politico perfetto non è stato ancora inventato. La legge perfetta che piace a tutti non è stata ancora elaborata. Ed allora atteniamoci a giudizi equilibrati, sia qualora ci sia da contestare (e sarebbe meglio contestare nelle sedi appropriate durante l'iter legislativo; quando l'atto legislativo entra in vigore ben poco c'è da fare se non applicarlo); sia laddove ci sia da formulare attestati positivi all'Unione per aver avuto la capacità di raggiungere un compromesso (Consiglio dei 27 governi, Commissione europea e Parlamento europeo), tale da giungere ad un atto legislativo di grande importanza e concretezza sulle persone, fisiche e giuridiche. Come è il caso della direttiva n. 2011/7/Ue approvata dal Parlamento europeo e dal Consiglio. Si legge nella direttiva che nelle transazioni commerciali tra operatori economici o tra operatori economici e amministrazioni pubbliche molti pagamenti sono effettuati più tardi rispetto a quanto concordato nel contratto o stabilito nelle condizioni generali che regolano gli scambi. Sebbene le merci siano fornite e i servizi prestati, molte delle relative fatture sono pagate ben oltre il termine stabilito. Tali ritardi di pagamento influiscono negativamente sulla liquidità e complicano la gestione finanziaria delle imprese. Siffatti ritardi compromettono anche la loro competitività e redditività quando il creditore deve ricorrere ad un finanziamento esterno a causa di ritardi nei pagamenti. Il rischio di tali effetti negativi aumenta considerevolmente nei periodi di recessione economica, quando l’accesso al finanziamento diventa più difficile. Parole sante. E ancora, le imprese dovrebbero poter svolgere le proprie attività commerciali in tutto il mercato interno europeo in condizioni che garantiscano che le operazioni transfrontaliere non comportino rischi maggiori di quelle interne.  Pertanto, nell'articolo 1 si stabilisce che lo scopo della direttiva è di lottare contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali, al fine di garantire il corretto funzionamento del mercato interno, favorendo in tal modo la competitività delle imprese e in particolare delle PMI. Qual è il problema? La questione riguarda la non corretta trasposizione nel decreto legislativo n. 212/2012 di alcune norme contenute nella direttiva. Ci si riferisce principalmente alla "mini-deroga" (tutta italiana) prevista dalle norme del decreto legislativo che consente alle PA di pagare a 60 giorni, anziché 30, qualora "sia giustificato dalla natura dell'oggetto del contratto" ovvero "dalle circostanze esistenti al momento della conclusione del contratto di fornitura". Si tratta di una ipotesi non prevista dalla direttiva che potrebbe diventare una scappatoia alle regole generali comuni. Come dire che un'eccezione diventa la regola. La Commissione europea ha chiesto, inoltre, che siano riviste anche altre norme. In particolare è necessario chiarire meglio l'obbligo (per lo Stato italiano) di assicurare la piena trasparenza dei diritti e degli obblighi previsti dalla direttiva e inserire a latere delle clausole gravemente inique (o vessatorie) anche la prassi che i debitori spesso utilizzano per non rispettare i tempi previsti e per evitare di pagare gli interessi. In conclusione, una trasposizione in parte positiva e in parte (assolutamente) negativa. Il governo italiano per scongiurare una procedura di infrazione (con conseguente condanna della Corte di giustizia UE) dovrà emendare il decreto legislativo n. 212 nelle parti segnalate dalla Commissione. Mi chiedo. E' mai possibile che si debba sempre trovare una scappatoia, tutta italiana, per "addolcire" e "addomesticare" una normativa europea che per di più, come in questa fattispecie, va nel senso di sbloccare ingenti somme e favorire, nei tempi stabiliti, il buon funzionamento delle imprese e concorrere alla ripresa dell'economia?

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