Con le irrituali dimissioni del ministro degli
esteri italiano ieri in Parlamento, la situazione politica interna ha mostrato una
spiacevole divisione del governo sulle scelte fatte in ordine alla questione del
rientro in India dei nostri marò. Con conseguenze immaginabili sul piano
internazionale, posto che i media ne hanno dato ampio riscontro. E ciò aggrava
una immagine e la credibilità del governo del nostro paese (dell'Italia tout
court) già quanto mai discussa e criticata in questa fase storica. L'aspetto
politico lo lascerei alle coscienze e ai giudizi di ciascuno. Al giurista
compete, viceversa, chiarire oltremodo il quadro giuridico di riferimento, al
fine di formulare ipotesi su dati concreti dell'incresciosa storia. Né vale la pena di
ritornare su errori commessi dal governo italiano (si vedano i due precedenti
post), a partire dalla fonte primaria delle successive illegalità: in primo
luogo, 1) dalla improvvida decisione (a seguito di inganno o meno) di far
entrare la nave italiana Enrica Lexie nelle acque territoriali indiane e quindi
(addirittura!) attraccare nel porto di Kochi (Cochin) dove i due militari
italiani sono stati arrestati e tradotti in carcere; successivamente, 2) alla
strategia di contestare la giurisdizione indiana in ordine al luogo di
commissione del fatto (alto mare, zona contigua o mare territoriale) e, 3) alla
natura dell’azione dei due marò (in quanto organi dello Stato) per i quali si
applicherebbe secondo il diritto internazionale la consolidata regola dell’immunità funzionale. Dal che si
ricava, una volta chiarito il contesto giuridico, la giurisdizione competente a
giudicare i nostri fucilieri. Tuttavia, dopo più di un anno dal fatto, con i
due marò in stato di fermo e (sostanzialmente) sotto processo in India (salvo
le due sortite in Italia autorizzate dalle autorità giudiziarie indiane), non
si è ancora giunti alla decisione sulla giurisdizione competente. Nè la
sentenza della Corte suprema indiana del 18 gennaio 2013 è risolutiva in questo
senso, giacché allungando i tempi, ordina sostanzialmente la costituzione di una
futura "Corte speciale" con sede a Nuova Delhi. Sarà questa Corte a
giudicare (illegittimamente) i nostri marò? Per ora no! La Corte speciale dovrà
pronunciarsi, prima che sulla colpevolezza dei marò, sulla questione della giurisdizione competente. In una nota
verbale del governo italiano si faceva riferimento anche alla mancata risposta (positiva)
del governo indiano alla richiesta italiana di attivare le forme di
cooperazione previste dalla Convenzione
delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) del 1982 (ex art. 100 e art.
283), per la
ricerca di una soluzione diplomatica e, se necessario, arbitrale o giudiziale
del caso. All’indomani della sentenza del 18 gennaio 2013 della Corte Suprema
indiana, infatti, il governo italiano ha proposto formalmente al governo di New
Delhi l’avvio di un dialogo bilaterale per la ricerca di una soluzione
diplomatica del caso, come suggerito dalla stessa Corte, là dove richiamava
l’ipotesi di una cooperazione tra Stati nella lotta alla pirateria, secondo
quanto prevede la citata Convenzione UNCLOS. Alle richieste italiane ha fatto
seguito il diniego del governo indiano a soluzioni previste dal diritto
internazionale ribadendo la competenza della giurisdizione indiana. Dal che, fa
seguito la ulteriore controversia sul rientro in India dei marò (in permesso
per le votazioni politiche): al cambio di atteggiamento in ordine al precedente
impegno del nostro governo attraverso l'ambasciatore italiano in India (c.d
"affidavit"), c'è stata la (illegittima) decisione della Suprema
Corte indiana del 18 marzo scorso di "non autorizzare l'ambasciatore
italiano a lasciare il Paese" senza previa autorizzazione. Si tratta di
una decisione adottata in grave violazione della Convenzione di Vienna sulle
relazioni diplomatiche del 1961 che codifica principi universalmente
riconosciuti. Principio fondamentale per le relazioni tra gli Stati, e
principio-cardine consolidato di diritto consuetudinario e pattizio ribadito più
volte dalla Corte Internazionale di Giustizia. Una serie di comportamenti
deprecabili sul piano diplomatico, sia dall'una che dall'altra parte, che
evidenziano una sorta di astiosità politica non giustificabile sul piano del
diritto internazionale e più propriamente diplomatico.
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