A proposito
della sovranità dello Stato nell'Unione europea scrissi tempo addietro che
"l'esercizio più alto della sovranità da parte di uno Stato è quello di
cederla" (Temi di diritto dell'Unione europea, Milano, Giuffrè, 2008).
Oggi mutatis mutandis potremmo
rilevare che la forza (non militare) di uno Stato si misura con l'esercizio
della sua sovranità: più è importante uno Stato (sul piano delle relazioni
internazionali, politiche, commerciali, economiche, ecc.) più l'uso della forza
come coercizione dell'«altro» deve essere minima. Ed ovviamente nella cornice
delle regole internazionali. Ricordo che l'art. 2, parag. 4 dello Statuto ONU
(inserito nel fondamentale Capitolo I "Fini e Principi") stabilisce
che gli Stati membri "devono astenersi nelle loro relazioni internazionali
dalla minaccia o dall'uso della forza, sia contro l'integrità territoriale o
l'indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera
incompatibile con I fini delle Nazioni Unite". Inoltre, il seguente art. 4
(che riguarda l'adesione di uno Stato all'ONU) sancisce che "Possono
diventare Membri delle Nazioni Unite tutti gli Stati amanti della pace che accettino
gli obblighi del presente Statuto e che, a giudizio dell'Organizzazione, siano
capaci di adempiere tali obblighi e disposti a farlo". Tuttavia il
Consiglio di Sicurezza che, lo ricordo, detiene (a nome degli Stati membri) la
responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza
internazionale può, ai sensi dell'art.
42, "intreprendere con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione
che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza
internazionale". La recente posizione dell'ONU resa nota dal Segretario
Generale lascia intravedere una certa neutralità dell'Organizzazione almeno
fino a quando non si sarà accertata con chiarezza chi ha usato le armi
chimiche, atteso senza ombra di dubbio che sono realmente state utilizzate. Il
Consiglio di Sicurezza non autorizzerà l'intervento giacchè è nota la posizione
contraria di Russia e Cina, entrambi Stati membri "privilegiati"
(assieme a USA, Francia e Regno Unito) con diritto di veto. Pertanto qualsiasi
intervento di uno Stato o più Stati al di fuori della cornice ONU è da ritenere
illegittimo e non conforme allo Statuto ONU. Ma come conciliare i tempi
(lunghi) della diplomazia preferendo l'opzione politica a quella militare (più
breve) con l'esigenza di far terminare il massacro di civili? Può parlarsi già di genocidio?
Non è facile conciliare le due opzioni; la rapidità della soluzione militare,
tuttavia, dovrebbe evitare altro spargimento di sangue innocente; quasi
impossibile, ancorchè si parli di missili intelliggenti e quant'altro
indirizzati su obiettivi militari ben precisi. In ogni caso ci saranno nuovi
morti: come dire che i morti non sono tutti uguali (civili o militari che
siano)! Il Congresso USA potrebbe farci una sorpresa come il Parlamento
britannico, ma non ci spero. E allora come si può uscire da questa impasse peraltro determinata dalla nota
"red line" del Presidente Obama? Buon senso (politico) ed esercizio
di una sovranità mite potrebbere essere la via maestra. L'equazione siriana ha
troppe variabili che potrebbero essere definite "impazzite" o non
controllabili; soprattutto durante l'opzione militare. In Siria sono in gioco
la stabilità del Medio Oriente (con la questione israelo-palestinese in primo
luogo), del Nord Africa e dei paesi del Golfo; inoltre le vie del petrolio, i
rapporti tra sunniti e sciiti (cioè la pace del mondo islamico) nonchè I
rapporti regionali con l'Europa e gli Stati Uniti. Occorre meditare; ricordo
però che mentre si medita la diplomazia è al lavoro 24 ore su 24 e chissà che
il buon senso e l'esercizio di sovranità miti possano raggiungere un
compromesso ed una posizione comune. In questo momento storico la guerra
(correggo: l'intervento militare) non risolve; anzi fornisce l'opportunità di
rivendicazioni e riapre vecchie ferite proprie di quella regione.
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