mercoledì 4 settembre 2013

Ancora sull'intervento militare in Siria



A proposito della sovranità dello Stato nell'Unione europea scrissi tempo addietro che "l'esercizio più alto della sovranità da parte di uno Stato è quello di cederla" (Temi di diritto dell'Unione europea, Milano, Giuffrè, 2008). Oggi mutatis mutandis potremmo rilevare che la forza (non militare) di uno Stato si misura con l'esercizio della sua sovranità: più è importante uno Stato (sul piano delle relazioni internazionali, politiche, commerciali, economiche, ecc.) più l'uso della forza come coercizione dell'«altro» deve essere minima. Ed ovviamente nella cornice delle regole internazionali. Ricordo che l'art. 2, parag. 4 dello Statuto ONU (inserito nel fondamentale Capitolo I "Fini e Principi") stabilisce che gli Stati membri "devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall'uso della forza, sia contro l'integrità territoriale o l'indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con I fini delle Nazioni Unite". Inoltre, il seguente art. 4 (che riguarda l'adesione di uno Stato all'ONU) sancisce che "Possono diventare Membri delle Nazioni Unite tutti gli Stati amanti della pace che accettino gli obblighi del presente Statuto e che, a giudizio dell'Organizzazione, siano capaci di adempiere tali obblighi e disposti a farlo". Tuttavia il Consiglio di Sicurezza che, lo ricordo, detiene (a nome degli Stati membri) la responsabilità principale del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale può, ai sensi dell'art.  42, "intreprendere con forze aeree, navali o terrestri, ogni azione che sia necessaria per mantenere o ristabilire la pace e la sicurezza internazionale". La recente posizione dell'ONU resa nota dal Segretario Generale lascia intravedere una certa neutralità dell'Organizzazione almeno fino a quando non si sarà accertata con chiarezza chi ha usato le armi chimiche, atteso senza ombra di dubbio che sono realmente state utilizzate. Il Consiglio di Sicurezza non autorizzerà l'intervento giacchè è nota la posizione contraria di Russia e Cina, entrambi Stati membri "privilegiati" (assieme a USA, Francia e Regno Unito) con diritto di veto. Pertanto qualsiasi intervento di uno Stato o più Stati al di fuori della cornice ONU è da ritenere illegittimo e non conforme allo Statuto ONU. Ma come conciliare i tempi (lunghi) della diplomazia preferendo l'opzione politica a quella militare (più breve) con l'esigenza di far terminare il massacro di civili? Può parlarsi già di genocidio? Non è facile conciliare le due opzioni; la rapidità della soluzione militare, tuttavia, dovrebbe evitare altro spargimento di sangue innocente; quasi impossibile, ancorchè si parli di missili intelliggenti e quant'altro indirizzati su obiettivi militari ben precisi. In ogni caso ci saranno nuovi morti: come dire che i morti non sono tutti uguali (civili o militari che siano)! Il Congresso USA potrebbe farci una sorpresa come il Parlamento britannico, ma non ci spero. E allora come si può uscire da questa impasse peraltro determinata dalla nota "red line" del Presidente Obama? Buon senso (politico) ed esercizio di una sovranità mite potrebbere essere la via maestra. L'equazione siriana ha troppe variabili che potrebbero essere definite "impazzite" o non controllabili; soprattutto durante l'opzione militare. In Siria sono in gioco la stabilità del Medio Oriente (con la questione israelo-palestinese in primo luogo), del Nord Africa e dei paesi del Golfo; inoltre le vie del petrolio, i rapporti tra sunniti e sciiti (cioè la pace del mondo islamico) nonchè I rapporti regionali con l'Europa e gli Stati Uniti. Occorre meditare; ricordo però che mentre si medita la diplomazia è al lavoro 24 ore su 24 e chissà che il buon senso e l'esercizio di sovranità miti possano raggiungere un compromesso ed una posizione comune. In questo momento storico la guerra (correggo: l'intervento militare) non risolve; anzi fornisce l'opportunità di rivendicazioni e riapre vecchie ferite proprie di quella regione.

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