Gli osservatori dell’evoluzione della guerra tra Russia e Ucraina potrebbero riscontrarvi una stridente contraddizione tra le difficoltà della diplomazia ad affermarsi come soluzione preferenziale di risoluzione delle ostilità – si pensi ai numerosi colloqui tra le delegazioni russa e ucraina che si sono svolti mentre gli scontri imperversavano tra i combattenti, o ancora all’espulsione di molteplici diplomatici russi dagli Stati Uniti e da numerosi Paesi europei – e il susseguirsi di telefonate, incontri e round negoziali che hanno visto come protagonisti i massimi vertici di Stati terzi e delle istituzioni dell’Unione Europea, di cui costantemente siamo informati dai media nazionali. Da una parte, il dialogo sembra cedere il posto alla realpolitik, ai vantaggi tattici sul fronte e agli interessi strategici più ampi e di lungo periodo. Dall’altra, di fronte al sacrificio di tante vite umane e all’urgenza di impedirne delle altre, si tenta di mantenere comunque aperta la via del dialogo con entrambe le parti del conflitto. Per un verso, pare prevalere la profonda sfiducia in qualsiasi tentativo di mediazione e confronto. Per l’altro, gli sforzi finora vani corroborano il timore di una strumentalizzazione della diplomazia, utilizzata dalle parti come mezzo per guadagnare tempo oppure dai mediatori terzi come grimaldello per avanzare propri interessi geopolitici.
Ciò che appare ormai chiaro è che l’aggressione russa
costituisca una minaccia non solo per le relazioni tra Stati e per la
diplomazia, ma anche per l’intero ordine internazionale e le regole su cui esso
si fonda, peraltro in una modalità che ha sacrificato a tale scopo risorse, territori,
vite umane. Il tramonto dell’ordine liberale, quale affermatosi dopo la fine
della Seconda Guerra Mondiale in Occidente e culminato nel primato statunitense
dalla fine della Guerra Fredda, è stato paventato negli ultimi anni da più
parti, soprattutto in relazione alla riduzione dell’assertività americana, allo
spostamento dell’asse principale degli interessi geopolitici verso il Pacifico
e all’emersione sulla scena internazionale di nuovi attori aspiranti al ruolo
di potenze egemoni o grandi potenze. Dopo le crisi economiche e la pandemia, mentre
tutta l’attenzione era posta sulla grande sfida tra Cina e Stati Uniti – tutti
avvenimenti drammaticamente connessi al ruolo dell’economia nelle attuali dinamiche
di potere – una minaccia militare alle porte dell’Europa ha riportato
l’attenzione sul vecchio continente, rivelando le (sopite?) contraddizioni del
versante orientale.
Sia le iniziali e ambiziose richieste dell’aggressore –
sottrarre all’Ucraina il governo della Crimea e delle due Repubbliche del
Donbass, impedirle di entrare nella NATO e nell’Unione Europea e imporle una
totale demilitarizzazione – sia l’invocazione di una improbabile no-fly zone da
parte del Presidente Zelensky hanno alimentato l’idea che la risoluzione del
conflitto sarebbe stata affidata alle dinamiche sul terreno, dove tuttavia la
resistenza ucraina ha smentito il pronostico dei più esperti analisti.
Ciononostante, diversi Paesi, legati sia alla Russia che all’Ucraina, si sono
proposti come mediatori, taluni già da prima dello scoppio della violenza
bellica.
In primis Israele, unico Paese esterno all’area ex sovietica,
strettamente connesso a Mosca per motivi demografici, culturali, militari e
strategici, ma anche a Kyiv, per la presenza di migliaia di ebrei in Ucraina, nonché
per via della dipendenza dalle forniture di cereali e della naturale
propensione dello stato ebraico a promuovere l’autodeterminazione dei popoli.
Pur non imponendo sanzioni alla Russia, Israele ha dimostrato forte solidarietà
al popolo ucraino quando il Ministro degli Esteri Lapid dall’Europa centrale ha
coordinato gli aiuti umanitari e il Presidente Bennet ha incontrato prima Putin
per poi recarsi a Berlino.
Secondo grande attore di mediazione è stato Emmanuel Macron,
impegnato a scongiurare in Europa un nuovo scenario da Guerra Fredda e
mantenere aperta l’interlocuzione con la Russia, a riprova della rilevanza
della Francia in quanto potenza nucleare e perno della stabilità europea.
La Cina, inizialmente identificata come uno dei pochi
potenziali attori in grado di parlare alla Russia, ha mantenuto un approccio
cauto, coerente con i suoi recenti obiettivi di inserimento all’interno delle
istituzioni dell’ordine liberale, attraverso il richiamo ai principi di
sovranità e non ingerenza e ad una narrativa che la vede un attore economico
indispensabile in molti scenari, pur mal celando le turbolenze interne e la
loro repressione. Si è assestata dunque su posizioni vaghe, dettate dalla
necessità di non indebolirsi ulteriormente, dopo la diffusione del Coronavirus
e le continue tensioni con gli Stati Uniti, e di non inimicarsi l’opinione
pubblica internazionale, come dimostra la sua astensione in seno all’Assemblea
Generale.
Last but not least¸ la
Turchia, già fornitore di armi all’Ucraina e secondo esercito della NATO,
sfrutta l’ambiguità dei suoi rapporti con la Russia per evitare un suo
controllo del litorale ucraino e uno sconvolgimento degli assetti geopolitici
dell’area, proponendosi fautore quantomeno di un cessate il fuoco. La
partecipazione personale di Erdoğan ai negoziati e il riconoscimento della sua
imparzialità dalle parti sembrano fornire a quest’ultimo attore maggiori
chances di riuscita.
Nonostante tutti gli sforzi – più o meno in buona fede – di
tali attori, i negoziati sembrano aver aperto qualche spiraglio di luce solo
quando le posizioni russe sono divenute meno massimaliste: a metà marzo si è
discusso un piano di pace in quindici punti nei quali è previsto che l’Ucraina
non entri nella NATO ma mantenga un esercito, non ospiti basi militari estere
ma ottenga garanzie di sicurezza dagli alleati, pur rinunciando alla Crimea e alle
due Repubbliche indipendenti. È evidente come la soluzione negoziale comporti
una rinuncia da entrambe le parti, ma negli ultimi giorni un ulteriore elemento
è emerso: la necessità di Stati che facciano da garanti, come invocato
soprattutto dall’Ucraina, anche in riferimento all’Italia. Tuttavia, una vera e
propria pace non appare per il momento plausibile: auspicabile per i più
realisti è una sorta di tregua armata, anche se lo scenario di nuovi e più
efferati scontri nell’est del Paese sembra farsi più nitido all’orizzonte.
Sebbene uno dei principali ostacoli alla riuscita dei
negoziati – la de-escalation militare – non sia stata ancora paventata da parte
russa, i numerosi giorni di scontri hanno reso evidente come, quale che sia
l’approccio del negoziato, l’unico modo per ottenere un risultato, anche solo
per far cessare le armi e la perdita di vite umane, è il confronto. Lungi dal
voler legittimare taluni atti, la comunicazione è l’unico modo per raggiungere
un compromesso che sia sostenibile nel lungo periodo. Per questo, la diplomazia
resta il mezzo principale di uno Stato per comunicare, soprattutto in momenti
di tensione e in una realtà in cui le informazioni si susseguono ad una
velocità tale da impedire un corretto discernimento delle dinamiche e delle
altrui posizioni.
Ammettendo pure che l’ordine internazionale a noi noto e
familiare possa dirsi in pericolo, l’istituzione della diplomazia, a cui grande
impeto fu dato proprio quando esso era in incubazione – cioè durante il
confronto ideologico del secondo Novecento – mantiene intatta la sua rilevanza
e dimostra una straordinaria resilienza. È infatti necessario ricordare che proprio
il secolo scorso ci ha insegnato che l’incubo umano della Grande Guerra ha
segnato irrimediabilmente le generazioni che l’hanno vissuta e che l’eccessivo
logoramento economico, sociale e psicologico di una potenza hanno innescato
pericolosi sentimenti di odio e vendetta: di certo non le armi ma il dialogo
potranno permetterci, citando J. M. Keynes, di “riconsiderare la nostra
condotta e vedere il mondo con occhi nuovi”. Ambizioso o utopistico che sia, in
quanto europei tale sentimento di speranza ci è d’obbligo.
- https://open.spotify.com/show/7wmClvYJGCKo7Pjs6AlIOg?go=1&sp_cid=5a64f2767f9e60b4cc4beffe21c43feb&utm_source=embed_player_p&utm_medium=desktop&nd=1
- https://www.ft.com/content/7b341e46-d375-4817-be67-802b7fa77ef1
- https://www.geopolitica.info/sirianizzazione-o-grand-bargain-la-mediazione-di-israele-tra-mosca-e-kiev/?fbclid=IwAR0K0W4XmeOeawABIyEKsD2nHDC01nxJzCJe8PecE_RhS5U3fbEcp7H2cxQ
- https://www.nato.int/nato_static_fl2014/assets/pdf/2022/3/pdf/sgar21-en.pdf#page=137
- https://www.raiplaysound.it/audio/2022/04/Nove-minuti-Ep05-La-tela-della-Turchia-29672beb-9e12-4bfc-a6c7-8dcb6032646c.html
- https://www.washingtonpost.com/world/2022/03/30/diplomat-expulsion-russian-embassy-expel/
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